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Socia della

Gran Paradiso - Un Parco di animali, uomini e cose

Toni Farina
(Rappresentante delle Associazioni ambientaliste nell’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso)

Titolava così un audiovisivo da me realizzato nei remoti anni ’80 del secolo (e millennio) scorso. Diapositive in dissolvenza incrociata, preistoria insomma. Diapo marca Kodachrome 25 Professional, una risoluzione altissima e prezzo non da meno. Scatti centellinati, altro che selfie! E anche i tempi erano altri: lo sviluppo (compreso nel prezzo) era esclusiva di un unico laboratorio: in Svizzera, Losanna mi pare. Un mese minimo, quando si dice il piacere dell’attesa.
Per effettuare le riprese avevo il permesso di pernottare nei casotti di sorveglianza, e non posso non ricordare un soggiorno al Gran Piano di Noasca in un nevoso mese di novembre. La salita al buio con un amico, il vento gelidissimo che scendeva dal Colle di Moncorvè, la sorpresa della camera riscaldata dalla stufa accesa per noi dal guardaparco Aimonetto. Mitico, e mitici i suoi racconti. Quando si dice “i racconti del guardaparco” (nel Gran Paradiso non hanno la “i”).
Era in realtà tutta una scusa per frequentare quei luoghi, quelle valli, quegli angoli da “alba del mondo” (citazione: Enrico Camanni). Cosa che feci assiduamente per una decina di anni: ero stato soggiogato dal Gran Paradiso. Esperienza peraltro condivisa da molti, e dunque molti sanno di che parlo.
In ogni caso, alla fine l’audiovisivo fu realizzato e il risultato a sentir dire fu pure lusinghiero. Un parco di animali, uomini e cose: l’utopia, il sogno.
Contributo determinante per il buon risultato giunse dalle immagini fornitemi da Luciano Ramires, grande fotografo e novello guardaparco. Per tre anni, ebbi l’onore di proiettare d’estate il documentario nei centri visita, allora molto più improvvisati di oggi. Fu davvero un’esperienza. Che oggi, tornato nel Gran Paradiso sotto altre vesti meno esilaranti, torna utile. Una cosa è essere un “ambientalista da salotto” e basta, altro è essere un ambientalista da salotto che conosce il territorio del parco, tutto il parco, e questo nel Consiglio Direttivo un po’ ha contato.

Ritorno al Gran Paradiso
Chiedo venia per la premessa molto personale, ma non potevo esimermi. D’altronde è anche per l’affetto maturato verso quei luoghi che ho accettato la proposta di candidarmi consigliere, oltre all’ovvia scusante per “tornare lassù”. E i 15 anni di lavoro al Settore Parchi Naturali della Regione Piemonte sono stati fondamentali per capire molte cose, a partire dal fatto che le aree naturali protette possono svolgere la loro missione solo se inserite in una rete, ecologica e culturale (inscindibili!) che comprenda tutto il territorio, pianura antropizzata compresa (il fatto che i parchi siano una esclusiva delle aree marginali montane è un equivoco che perdura).

Cosa è cambiato in questi 30 anni nel Parco nazionale Gran Paradiso?
Risposta non agevole. Oggi il parco è una realtà consolidata, gli acerrimi contrasti del secolo scorso sono un ricordo e sono scomparse le scritte minacciose che nei citati anni ’80 facevano inquietante mostra sui muri delle gallerie della Val di Rhemes, così come a Pont Valsavarenche non si legge più la scritta “soyons maîtres chez nous” sulla facciata di una baita. D’altronde la Regione Autonoma Valle d’Aosta ha rinunciato almeno ufficialmente ai propositi di smembramento.
“Aver conservato indenne il territorio dagli stravolgimenti ambientali (grandi impianti di sci) costituisce oggi un valido fattore su cui puntare per il futuro”, ammette il Presidente Italo Cerise. La presenza del parco è dunque servita.
Nonostante le esigue risorse umane, grazie anche ai progetti Life Natura comunitari e alla professionalità dello staff tecnico-naturalistico, il Parco nazionale Gran Paradiso ha fatto bene il proprio lavoro di tutela delle specie naturali che gli sono state affidate. E lo stambecco (Capra ibex), specie simbolo dell’area protetta, ha ripopolato l’arco alpino.
Grazie anche all’evoluzione dei compiti dello storico corpo di vigilanza, il monitoraggio non si limita come un tempo al censimento degli ungulati, ma è un controllo complessivo sullo stato di salute dei vari habitat, ghiacciai compresi. Riconoscimenti internazionali certificano tale impegno.
Inoltre, il parco è un soggetto turistico autorevole e importante, la cartellonistica stradale posta a decine di chilometri di distanza dal territorio ne è conferma. Ma la conservazione è solo una parte della missione. Fondamentale, prioritaria anzi, ma che sempre più dovrebbe essere integrata da una incisiva ed efficace azione di sensibilizzazione sulle tematiche ambientali. I parchi sono costruttori di cultura ambientale, è un compito previsto dalla legge quadro e dalle varie leggi istitutive che esigerebbe azioni coerenti e, soprattutto, maggiore fermezza nei confronti delle amministrazioni locali. Qui le lacune sono molte e si possono verificare in base al livello di presa di coscienza sui temi ambientali da parte dei comuni del parco. Si scoprirà così che cento anni di natura protetta hanno talora generato risultati opposti alla filosofia della sostenibilità. E se questo poteva essere spiegabile e, pur con qualche difficoltà, anche comprensibile (alla luce della travagliata storia del Parco Gran Paradiso) fino a una ventina di anni or sono, non lo è più oggi, soprattutto alla luce della consistente mole di risorse affluite a livello locale grazie ai bandi ministeriali, destinate alla mobilità sostenibile e alla coibentazione degli edifici pubblici.
“Non si governa il parco contro le comunità locali”. Questa la condivisibile linea, più volte ribadita dal Presidente Italo Cerise. Tuttavia, la pace sociale ha un prezzo e oggi meno che mai il parco si può considerare un fortino nel quale si pratica la sostenibilità mentre, appena fuori, si prosegue come se nulla fosse. Se il parco è un laboratorio dove si sperimentano modelli virtuosi, i risultati delle “sperimentazioni” devono uscire e permeare il territorio circostante. Se la cultura della sostenibilità non può conoscere confini non è ammissibile che un comune del parco sia titolare di costosi progetti che prevedono la realizzazione di un “domaine skiable” (si fa per dire) a 1400 metri di quota (Alpe Cialma, Comune di Locana), laddove le nevicate da tempo non danno alcuna garanzia di continuità. E che dire dell’improbabile seggiovia di Piamprato (Comune di Valprato Soana), che per inseguire una illusoria sostenibilità economica sarà integrata da un fun bob?
Di qua del torrente il parco, di là, a pochi passi, una big bench e il fun bob. Parco naturale e luna park. Diversificare l’offerta?
Ironie a parte, per tornare all’interno dell’area protetta, il recente esito delle elezioni comunali in Valsavarenche (non si è raggiunto il quorum) è un segno di tensioni ancora evidenti. Nella valle “laboratorio” per antonomasia, il cui territorio è interamente compreso nel parco, forse non si rimpiange più la funivia che nei desiderata avrebbe dovuto raggiungere la cima del Gran Paradiso, ma il passato continua a presentare i suoi conti. E ancora, sempre per restare dentro i confini, non è da tempo più tollerabile che la strada che sale al Colle del Nivolet sia ancora soggetta alle sole blande limitazioni previste dal progetto “A piedi fra le nuvole”. Una sperimentazione ormai ventennale senza il coraggio di andare oltre, quando si trovano realtà molto più avanzate in aree non parco.

Giro d’Italia, un’occasione persa
Per quanto riguarda la situazione “traffico” sulla SP 50 del Colle del Nivolet, almeno negli intendimenti l’arrivo di tappa del Giro d’Italia all’invaso del Serrù nel 2019 avrebbe dovuto costituire uno spartiacque. Ma a tre anni di distanza si può ben dire che così non è stato, perché di fatto nulla è mutato.
Mi preme ribadire che, contrariamente a quanto si sostiene, l’arrivo di tappa nel cuore del parco non è stata una grande occasione di sviluppo turistico riqualificato, ma l’esatto contrario. Ben altro e più coerente risultato, e non solo in termini di immagine, si sarebbe ottenuto fermando la tappa a Ceresole, fuori parco, e proseguendo con una pedalata aperta a tutti non agonistica in segno di pace fra Uomo e Natura. Fantascienza!
Neppure il Centenario, con tutta la sarabanda di eventi, è stato occasione di iniziative coerenti ed è solo grazie a una iniziativa del GAL Valli del Canavese che è andata in porto una chiusura ai mezzi motorizzati a fondovalle: mezza giornata soltanto perché una giornata intera non era localmente accettabile.
Anche grazie alle elezioni andate a buca nel Comune di Valsavarenche, tutte le ipotesi di nuove e più avanzate regolamentazioni sono rimandate al prossimo consiglio. Auguri, non sarà agevole…

Tirare le somme
A fine mandato è un’operazione opportuna. Premessa ovvia, ma va comunque fatta: conoscendo il contesto non mi facevo molte illusioni. Evitare il ruolo di rompiscatole e perseguire pochi obiettivi emblematici, cercando condivisione locale e all’interno del consiglio: la strada del Nivolet, la sede legale, il regolamento della fruizione. Questi i temi su cui mi sono maggiormente impegnato e sui quali avrei voluto raggiungere risultati: che però non sono arrivati! Fin dalla prima riunione capii che sarebbe stato arduo: i miei colleghi consiglieri si conoscevano tutti, realtà scontata per i rappresentati locali, meno ovvia per gli altri designati (Regioni, Ministero). Io ero l’alieno. Un primo, rapido scambio di battute sulla questione “Nivolet” mi fece capire la diversità di visione. “Non si può chiudere una strada senza dare dei servizi”, affermò un consigliere. Quali servizi? Igienici? Parcheggi? Navette? Sono questi i servizi principali che deve fornire un’area naturale protetta? Lo scambio era rivelatore di una differenza di approccio che ha permeato tutta la consigliatura.
Molta burocrazia, atti dovuti, mai un embrione di dibattito sul ruolo di questi enti. Da un lato, i rappresentati locali restii a uscire dal ruolo di sindaco e, sull’altro fronte, la mancanza di competenze e sensibilità sui temi ambientali propria dei grandi partiti (PD compreso), a cui spetta di fatto esprimere le altre rappresentanze.
Le ZEA - Zone Economiche Ambientali - sono un provvedimento lodevole, ma è l’equivoco culturale che sta alla loro base ad essere fuorviante: il parco come insieme di vincoli, un freno allo sviluppo da compensare con opportune risorse. E poi la retorica tipo “la montagna senza l’uomo muore”, così pervicace ancora oggi, quando il galoppante cambiamento climatico non mette a rischio tanto la montagna quanto l’uomo stesso, montanaro o meno.
Ma c’è ancora un altro aspetto, tipico di questo Paese, che mi preme rilevare: la debolezza dei movimenti di tutela della natura che, in stridente contraddizione con l’emergenza ambientale, faticano a esprimere una forza politica di peso. Per i rappresentati “ambientalisti” negli enti di gestione delle aree naturali protette, a parte poche e temporanee eccezioni, questo significa solitudine, isolamento. Un ruolo che spesso non va oltre una blanda testimonianza o poco più. Ma talvolta può anche accadere, e allo scrivente è accaduto, che tale isolamento istituzionale sia rafforzato dalle stesse Associazioni, i cui leader si interfacciano con Presidenti di parco o politici dimenticandosi di chi li rappresenta negli Enti. Il risultato per i rappresentanti è una ulteriore perdita di autorevolezza e di credibilità.
Per quanto mi riguarda, ho sempre cercato di mantenere contatti costanti con i miei designanti, mandando avvisi di ogni seduta di consiglio (sono pubblici) e inviando sintetici rapporti al termine delle sedute. Inoltre, ho organizzato momenti di confronto annuali, in presenza nel periodo ante covid (grazie a Pro Natura per la disponibilità della sede torinese), online, dopo.
Mi sembra giusto rilevare come, a metà mandato, ulteriori difficoltà siano sorte con le dimissioni del Direttore Antonio Mingozzi. La visione comune su molti temi era infatti un fattore importante, così come, pur nella distinzione dei ruoli, importante e utile era il confronto, in particolare sulle tematiche legate alla fruizione turistica. Tra l’altro, non secondaria, era la condivisione dell’idea della Montagna Sacra per il Centenario: con le sue dimissioni è venuto meno un alleato determinante.

Il Principe? Va in elicottero…
La notizia giunge mentre scrivo queste righe. Non mi dilungo perché, essendo ampiamente rimbalzata sui media, la vicenda è nota. Però una riflessione è d’obbligo. Come già accaduto con il Giro ciclistico d’Italia nel 2019, l’Ente di Gestione del Parco ha palesato mancanza di autorevolezza. Condizione tipica del nostro Paese: di fronte ai “grandi eventi”, o ai personaggi potenti (o presunti tali), molto semplicemente si calano le brache. E tutti gli enunciati cadono, le norme di tutela si aggirano o si derogano. Con il risultato in questo caso di una figuraccia globale. Ampliata dalla concomitanza del Centenario. Quale il messaggio per l’opinione pubblica? Che, come è noto, non va tanto per il sottile e confonde con facilità parco e Ente Gestore.
Se già l’iniziativa della Carta del Gran Paradiso (non del parco, quindi), lasciava molto a desiderare, il volo in elicottero di Sua Altezza Alberto II di Monaco verso la cima simbolo è stata la classica ciliegina sulla torta.
Un boccone avvelenato servito da Fondation Gran Paradis (organizzatore dell’evento), che l’ente gestore ha trangugiato con tutta l’esca.
Se l’autorizzazione era un atto dovuto, trattandosi di Capo di Stato, non meno dovuta sarebbe stata una presa di posizione pubblica sulla non opportunità dell’evento da parte dell’Ente. Oltre a evitare figuracce, non si sarebbero forniti argomenti agli anti-parco a prescindere. Che ancora abbondano, soprattutto nella Vallée.

Il Monveso di Forzo montagna sacra
Mentre si autorizza un volo in elicottero a sostegno della lotta ai cambiamenti climatici (una palese contraddizione!), non si aderisce a un progetto culturale come l’istituzione nel territorio del parco, in occasione del Centenario, di una Montagna Sacra per la Natura, sulla cui cima si invitano le persone ad astenersi dalla salita. Un progetto pensato per sensibilizzare sulla necessità del Limite, che non prevede alcun divieto, ma solo una libera accettazione.
Nessun divieto formale e nessun costo, eppure l’Ente di Gestione non ha aderito con motivazioni alquanto strumentali (la sacralità, i costi…). A parte lo scrivente, tutti i consiglieri si sono detti contrari, passando l’eventuale onere (onore) dell’adesione al progetto ai Comuni interessati dalla montagna individuata per le sue caratteristiche: il Monveso di Forzo, nell’omonima valle, laterale della Val Soana (comuni di Ronco e Cogne, quindi).
Un’incomprensibile e non giustificabile logica localista per un progetto di fatto universale: mai è accaduto nel mondo occidentale che un luogo fosse dichiarato sacro per la natura, invitando per questo le persone ad astenersi dal frequentarlo. Comunque, pur tra molte difficoltà, soprattutto di comunicazione, l’iniziativa prosegue, così come prosegue la raccolta di adesioni: si può aderire compilando il semplice modulo alla pagina web https://www.sherpa-gate.com/la-montagna-sacra/. Sulla pagina si può leggere il progetto nella sua interezza, integrato dai nominativi dei componenti il comitato promotore e l’elenco degli aderenti (aggiornato in modo periodico).

Il regolamento del parco
Dopo un interminabile iter di approvazione, tre anni fa è entrato in vigore il piano del parco. Un piano che, proprio in virtù dei tempi di approvazione, è ormai da aggiornare. Il piano definisce la zonizzazione, individuando le zone A1 “Sistema di Alta Montagna” e A2 “Sistema aree naturali” che interessano oltre il 50% del territorio e nelle quali sono ammessi “usi naturalistici, escursionistici e alpinistici”, purché non arrechino danno agli habitat così come previsto nella Legge quadro nazionale 394/91.
Eventuali limitazioni a queste attività sono demandate alla revisione del Regolamento del Parco attualmente in vigore. Ed è proprio nell’ultima riunione di Consiglio (in scadenza) tenutasi il 31 agosto ad Aosta che è stato adottato il nuovo Regolamento che dovrà poi essere approvato dalle due Regioni e dal Ministero competente, previa osservazioni da parte della Comunità del Parco.
Il nuovo Regolamento adottato in Consiglio demanda a sua volta a eventuali determinazioni dirigenziali, ovvero del Direttore del Parco, eventuali limitazioni, anche di natura temporanea, a tali attività. Così come sono rimandati ad allegati tecnici una serie di aspetti quali le modalità di fruizione dei sentieri, lasciando ad esempio indefinita la spinosa questione delle biciclette sui sentieri.
Una scelta opinabile che di fatto scarica l’organo politico (il Consiglio) di responsabilità, lasciando alla struttura tecnico-dirigenziale tali incombenze.
Risulta evidente che senza una copertura politica da parte del prossimo Consiglio, ben difficilmente il Direttore si assumerà l’onere di porre limiti a forme di fruizione a elevato impatto, quali la fruizione su terreno innevato (sci alpinismo) che è di fatto libera in tutto il territorio. E questo a differenza, ad esempio, delle scelte ben più coraggiose e innovative fatte nel confinante Parco Regionale del Mont Avic.
Ancora a differenza del Parco Mont Avic, è lasciato in un ambito di indeterminatezza la possibilità di uscire dai sentieri che, stando al regolamento, “di regola” non è ammessa. Però è possibile “purché” non arrechi danno agli habitat. Spetta al corpo di vigilanza la valutazione di eventuali comportamenti scorretti.
Se ne deduce che, allo stato attuale, chi entra nel Parco per ragioni ludiche può in pratica andare ovunque e con qualsiasi mezzo, purché non motorizzato.
“Qui inizia il paese della libertà”, afferma Samivel nel suo manifesto per il Parco Gran Paradiso che, seppure un po’ sbiadito, si può leggere all’imbocco di molti sentieri. Sono passati più di 50 anni e le cose non sono mutate. Va detto che, subito dopo, nel suo manifesto Samivel afferma: “La libertà di comportarsi bene”. E qui si apre un mondo, o meglio un vuoto di norme, considerato che di fatto nel parco è mancante l’individuazione di aree wilderness codificate.

“Uno sguardo verso il futuro del parco”
Titola così l’articolo di apertura di Voci del Parco (notiziario del parco) dedicato in particolare al centenario, autore il Direttore Bruno Bassano. Sottotitolo: “Nuove prospettive di azione”. Leggendo l’articolo però, al di là di enunciati generici e scontati, è davvero arduo cogliere tali prospettive. Una latitanza che d'altronde sta caratterizzando tutti gli eventi legati a questo importante passaggio. Molta retorica, comprensibile abbondanza di prodotti tipici, ma il futuro, i prossimi 100 anni, rimangono fuori dalla finestra. Pochi gli appigli per far festa. Il futuro è materia per i posteri: i ragazzi che scendono in piazza chiedendo un clima che consenta la vita umana sulla Terra, un futuro possibile, non sono stati interpellati. Non hanno avuto finora cittadinanza nei festeggiamenti. Eppure, tra un coro e un assaggio di polenta, sentire il loro parere, i loro desiderata, sarebbe stata cosa congrua. Vedremo in quel che rimane, gli eventi proseguono fino al 2023. Forse qualcuno se ne ricorderà.

La sede dell’ente
È una delle questioni aperte. Il Centenario ormai agli sgoccioli è trascorso con la sede legale dell’ente collocata alla periferia sud di Torino, ospitata presso gli uffici di ARPA Piemonte, ex palazzine olimpiche, lascito di Torino 2006. Collocazione improbabile e “provvisoria” (da intendersi all’italiana), in attesa di altre e più consone e decorose scelte. Fatto sta che nessuno dei molti turisti che visitano oggi il capoluogo ex sabaudo sa che a Torino c’è la sede del primo parco naturale italiano. Chapeau!
In questi anni, in Consiglio, il nodo della sede ha fatto soltanto qualche timida apparizione. La ragione è semplice: si tratta di un nodo spinoso e squisitamente politico. Blandito in modo strumentale dalle Amministrazioni Locali che dimostrano anche in questo caso scarsa preveggenza e visione strategica.
Al di là della possibile “lotta fra poveri” (quale Comune? Quale Valle? Val d’Aosta o Piemonte?), la sede legale e di rappresentanza in un Comune del Parco (prospettata nella bozza di riforma della Legge Quadro nazionale 394 mai andata in porto), fortemente desiderata e sostenuta dal quasi intero arco di partiti (in questo caso accomunati da un certo populismo), è figlia di una visione non locale ma localista, incapace di andare oltre una trita e consunta frattura fra città e montagna. Incapaci di chiedersi: dove inizia davvero il Parco? Lassù nelle valli, oppure nell’antropizzata pianura che spinge sui monti in modo sempre più incalzante i suoi problemi di ardua vivibilità estiva e non solo.
Quando in Consiglio mi è capitato di sostenere che il Parco nazionale Gran Paradiso inizia a Torino (o ad Aosta) ovviamente sono stato guardato con sufficienza, poca o nulla volontà di capire o ragionare. Per il futuro è circolata una ipotesi “Ivrea”, interessante per la collocazione geografica. Si vedrà.

Sviluppo sostenibile o futuro possibile?
“Finalmente il parco non si limita a fare conservazione, ma sta creando sviluppo”. Una frase ripetuta con costanza dal Presidente Italo Cerise all’apertura degli eventi del Centenario. Quasi un lascito in chiusura del suo secondo mandato che peserà sicuramente sul suo successore. Al di là della trita reiterazione del dualismo “conservazione-sviluppo” (dovrebbe ormai aver fatto il suo tempo), occorre dare atto a Cerise del suo impegno in varie sedi, nazionali e internazionali, grazie al quale il Parco nazionale Gran Paradiso beneficia oggi di importanti riconoscimenti, a partire dall’inserimento nella Green List dell’UICN.
E ancora: “Neppure l’impegno dei guardaparco potrà proteggere lo stambecco-specie simbolo del parco dall’effetto dei cambiamenti climatici”. Così ha più volte affermato il Direttore Bruno Bassano, sempre nel corso degli interventi per il Centenario.
E allora? A fronte di tutto ciò, quale è il compito delle istituzioni “parchi naturali”, e degli Enti a cui sono oggi affidati, nell’epoca in cui lo “sviluppo sostenibile” è un mantra, un impegno delle Nazioni Unite e l’Agenda 2030 un impegno sottoscritto a livello planetario?
Nell’anno 2022 dell’era detta “Antropocene” quale è il ruolo del Gran Paradiso, primo parco nazionale italiano? Quale la missione nelle sue cinque valli?
Quale il programma per i 100 anni a venire? Quale il suo contributo a un futuro possibile? “Give future a chance”, per dirla con John Lennon. Finita la festa, questa sarà la domanda al partire dal giorno 4 dicembre 2022.
A conclusione del mio mandato è una domanda che faccio anche a me stesso e a chi mi seguirà. E la risposta va cercata subito.
Un parco di animali, uomini e cose: il tempo concesso non è più molto.

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