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La direttiva Seveso in Basilicata

Dal centro di pre-raffinazione petrolifero di Viggiano alla centrale termodinamica di Palazzo San Gervasio

Donato Cancellara, Presidente Associazione VAS per il Vulture Alto Bradano

Si parla spesso della Basilicata per i suoi boschi, per le sue acque, per la sua biodiversità agrozootecnica e per i suoi paesaggi. Tuttavia, la nostra Terra è sede di due rilevanti Siti d'interesse Nazionale (SIN), ai fini della bonifica, e di attività a Rischio d'Incidente Rilevante (R.I.R.) rientranti tra quelle previste dalla tristemente nota Direttiva Seveso III (2012/18/UE) recepita dall'Italia con il D.Lgs. n. 105/2015.
Nella Regione Basilicata sono presenti 10 stabilimenti a Rischio d'Incidente Rilevante: 8 in provincia di Potenza e 2 nella provincia di Matera. Sicuramente, il più noto stabilimento suscettibile di causare incidenti rilevanti è il Centro Olio Val D'Agri (COVA) dell'Eni S.p.A., nel Comune di Viggiano, quale impianto di trattamento degli idrocarburi estratti dal più grande giacimento dell'Europa Occidentale.
Non è un caso che il copioso sversamento di petrolio dal COVA di Viggiano, di circa due anni fa, venne qualificato come incidente rilevante dal Ministero dell'Ambiente, ai sensi dell'art. 25 del D.Lgs. n. 105/2015, rendendolo ufficiale all'Eni, al Comitato Tecnico Regionale Basilicata (CTR), agli Uffici competenti della Regione Basilicata, alla Prefettura di Potenza, all'Arpab ed all'ISPRA con nota del 19.06.2017.
Un incidente che causò "la contaminazione e la compromissione di 26.000 metri quadri di suolo e sottosuolo dell'area industriale di Viaggiano e del reticolo idrografico" a valle dell'impianto COVA, in seguito allo sversamento di 400 tonnellate di petrolio. È recentissima la notizia riguardante la sospensione per 8 mesi dal servizio dei pubblici uffici per 5 componenti del Comitato Tecnico Regionale (CTR) della Basilicata così come previsto dall'ordinanza del gip, eseguita il 6 maggio scorso dai Carabinieri del NOE, su disposizione della Procura della Repubblica di Potenza. Secondo gli inquirenti, le prescrizioni precauzionali non vennero ottemperate dal gestore dell’impianto COVA ed il CTR non intervenne con provvedimenti inibitori e sanzionatori, diventando, secondo il costrutto accusatorio, concausa dell’evento di dispersione del greggio nell’ambiente circostante.

A margine di queste notizie, come Associazione ci siamo chiesti come sarebbe diventata l'area Nord della Basilicata - a ridosso del Comune di Palazzo San Gervasio - se fosse stato realizzato l'impianto industriale, folcloristicamente conosciuto come "solare termodinamico", anch'esso sottoposto alla famigerata Direttiva Seveso come il COVA di Viggiano. L'impianto si classifica come «stabilimento di soglia superiore» per la presenza di sostanze pericolose in grandi quantità: oltre 2 mila tonnellate olio diatermico e circa 38 mila tonnellate di sali fusi classificabili come comburenti. Ovviamente, per coloro che vivono del "tutto a posto", non vi era nulla di cui preoccuparsi. Alcuni sostenitori dell'impianto rassicuravano dicendo che il termodinamico aveva ottenuto anche il Nulla Osta di Fattibilità condizionato, in data 3.12.2013, da parte del CTR della Basilicata dopo aver analizzato il Rapporto Preliminare di Sicurezza elaborato dalla società Teknosolar Italia 2 S.r.l. Proprio quel rapporto oggetto di studio da parte del Consulente Tecnico d'Ufficio (CTU) chiamato nuovamente ad esprimersi sul ricorso n. 307/2016 presentato, dinanzi al TAR Basilicata, dalla Teknosolar Italia 2 S.r.l. Infatti, risale al 9 aprile scorso, l'Ordinanza n. 355 con la quale i giudici amministrativi hanno ritenuto di prolungare ulteriormente la vicenda del contenzioso "Teknosolar vs. Regione Basilicata", chiedendo un supplemento di perizia al fine di acclarare se i documenti riguardanti le emissioni di inquinanti in atmosfera nonché il Rapporto Preliminare di Sicurezza, strettamente connesso alla Direttiva Seveso, potessero essere ritenuti idonei a modificare l'esito degli accertamenti cui era già pervenuto il CTU nella sua perizia depositata il 30.05.2018. Una richiesta di integrazione che ci ha lasciati perplessi nella forma con cui è stata richiesta, ma sicuramente è una semplice sensazione da parte di chi potrebbe pubblicare un inedito volume sulle tante acrobazie del termodinamico in Basilicata. Un volume che potrebbe essere intitolato: quando l'arroganza e la mancanza di rispetto si scontra con una realtà locale spesso sottovalutata!

Tanto è stato fatto per evidenziare le imperdonabili mancanze nell'analizzare gli scenari incidentali ipotizzati nel Rapporto Preliminare di Sicurezza (rilascio di olio diatermico con innesco e conseguente scenario di incendio; rilascio senza innesco di olio diatermico con possibile origine ad un potenziale danno ambientale) anche e soprattutto per la descrizione sommaria della geologia ed idrogeologia del sito interessato dall’intervento. Alquanto irrealistico pensare di caratterizzare un'area di oltre 226 ettari con soli 6 sondaggi diretti e con la valutazione della permeabilità del terreno su due soli campioni. Irrealistico ritenere che l'irrisorio numero di sondaggi potesse condurre ad attendibili analisi del rischio per la stima delle conseguenze incidentali legate al percolamento di olio diatermico nel sottosuolo interessato, nella sua interezza, da una strategica falda a pochi metri dal piano campagna. Decisamente surreale l'aver eseguito, nel periodo estivo, le indagini per la caratterizzazione idrogeologia senza che venissero considerate le condizioni più conservative. Quelle condizioni che non sono riscontrabili in un periodo torrido, come quello del luglio 2012, a scarso apporto di acqua per le ridotte precipitazioni meteoriche e per il suo maggior emungimento dai circa 20 pozzi artesiani presenti nell'intera area oggetto di indagine.
Emblematico osservare come il D.Lgs. n. 105/2015 all'Allegato C, punto C.4 "analisi degli eventi incidentali", prevede di "valutare le conseguenze degli scenari incidentali in base alle condizioni meteorologiche caratteristiche dell'area in cui è insediato lo stabilimento, con particolare riferimento a quelle più conservative"; al punto C.4.4 prevede una "descrizione dettagliata dell'ambiente circostante" ed un "modello idrogeologico-idrologico del sito volto alla individuazione delle vie di migrazione delle sostanze pericolose nel suolo, in acqua superficiali e sotterranee".
Rilevante fu anche l’inadeguata pubblicazione dell'avviso di avvio del procedimento di V.I.A. con conseguente comunicazione non efficace della presentazione del Rapporto di Sicurezza Preliminare. Infatti, la società Teknosolar Italia 2 s.r.l. depositò il 13.11.2012 lo Studio di Impatto Ambientale pubblicando il relativo avviso di avvio della procedura di V.I.A. senza alcun cenno alle problematiche di incendio rilevante nonostante l'art. 24, comma 2, lett. c) del D.Lgs. n. 152/06 precisi l’obbligo di fornire notizia del progetto con una breve descrizione dello stesso e dei suoi possibili principali impatti ambientali. Ciò rese inevitabilmente inadeguata la pubblicazione e, conseguentemente, non efficace la comunicazione così come previsto,  oltretutto, dall’art. 23 del D.Lgs. n. 334/99 e ribadito dall'art. 24 "Consultazione pubblica e partecipazione al processo decisionale" del D.Lgs. n. 105/2015.
Abbiamo avuto fiducia che quanto evidenziato potesse essere motivo di una indipendente riflessione da parte del CTU nel supplemento di perizia richiesto dal TAR Basilicata. Supplemento di perizia pervenuto nei termini previsti e, come ormai abituati all'atteggiamento di chi non sa chinare la testa ammettendo la propria disfatta, dopo pochi giorni sono pervenute osservazioni da parte della società Teknosolar. Il risultato è stato quello di una inevitabile richiesta di proroga, da parte del CTU, affinché possano essere valutate le osservazioni ricevute, esplicitare le proprie controdeduzioni e integrare la relazione di consulenza.
Nuova udienza pubblica a Novembre prossimo! Sarà la volta buona perché si capisca che chi è causa del suo mal pianga se stesso? Speriamo che la vicenda si concluda nei prossimi mesi così da evitare di dedicare anche un solo minuto in più ad una vertenza ambientale complessa per il contenuto del progetto, per l'iter procedimentale, per i soggetti coinvolti e per i tanti interessi movimentati che come uno tsunami dovrebbe avere un unico esito dopo il ritirarsi dell'onda anomala: lasciare macerie per fortuna immateriali e non tangibili sul nostro territorio che ostinatamente abbiamo difeso da un irreparabile danno. Un danno inestimabile che avrebbe interessato la vera risorsa non rinnovabile patrimonio della collettività: il nostro Suolo.

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