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Notizie dal Delta del Po

Mario Rocca (Associazione Naturalisti Ferraresi Amici del Delta)

Questo territorio, che ha ben pochi uguali nel bacino del Mediterraneo, è da sempre bistrattato dalle nostre Amministrazioni. Ne fa fede la tormentata storia del Parco del Delta, mai arrivato a diventare Nazionale, e ora ridotto a un pallido simulacro, orientato più allo sviluppo turistico e industriale che alla tutela del patrimonio ambientale.
Il caso della “Fabbrica delle Polveri”, a ridosso dell’abitato di Porto Garibaldi, nell’immediato entroterra della statale Romea, rappresenta un caso emblematico. Circa mezzo secolo fa, coi criteri di allora, l’area era stata destinata a zona industriale, ed ivi era sorta una fabbrica di piastrelle in ceramica, la CERCOM, poi fallita e abbandonata già dal 2002. Le multinazionali spagnole Arcilla Blanca e Torrecid, che producono impasti per Gres Porcellanato, e si forniscono di minerale nelle zone del Mediterraneo orientale, hanno pensato nei mesi scorsi di situare una lavorazione intermedia a Comacchio, nell’area CERCOM, ora zona Parco. Lì sarebbero arrivati i camion da Ravenna, carichi del minerale scaricato dalle navi.
Battezzata dagli oppositori comacchiesi “La Fabbrica delle Polveri”, doveva ridurre il minerale in finissima polvere, per poi trasformarla in impasto ed inviarlo a destinazione ovunque. La burrascosa opposizione locale aveva ottime frecce al suo arco: gli spagnoli che consideravano Comacchio alla stregua di terzo mondo; le emissioni dei camini alti 35 m in una zona vocata al turismo vacanziero, sia stagionale che “stanziale”, leggi seconde case; il traffico dei TIR, stimato sui 170 giornalieri, sulla supertrafficata Romea, e attorno a un residuo vallivo attiguo alla fabbrica; l’inadeguatezza strutturale del ponte della Romea sul Porto Canale, e del relativo svincolo, non costruiti per sopportare tale traffico aggiunto; la grande richiesta di acqua dolce per le lavorazioni, nonché i vapori emessi in atmosfera; l’impatto visivo delle torri fumanti alte 35 m in zona turistico-balneare.
Il dibattito in Comune, energicamente sostenuto dalle opposizioni consiliari, dal coacervo delle Associazioni ferraresi, e dal Comitato appositamente costituitosi, ha finito fortunatamente con lo spaventare gli investitori, e il Sindaco, che aveva caldeggiato il progetto, ha dovuto rinunciarvi.
Ebbene, non ancora spenti gli echi dell’affare CERCOM, ecco un nuovo allarme: il deposito di terreni “bonificati” nelle ex-vasche di decantazione dello zuccherificio di Comacchio, abbandonato anch’esso 26 anni fa. L’area delle vasche, a poca distanza dall’insediamento CERCOM, misura 22 ettari, è attigua all’area dismessa del vecchi zuccherificio, e insiste su resti archeologici risalenti ai proto-insediamenti in zona, evolutisi poi fino alla Comacchio contemporanea. Non dimentichiamo che a poca distanza esistono gli scavi della necropoli di Spina in Valle Pega, i cui reperti hanno riempito dei musei, per non parlare del ritrovamento di una nave romana, di epoca successiva (tardo impero).
Le vasche di decantazione ospitavano i liquami di scarto dei sughi di barbabietola da cui si ricavava il saccarosio. Questi liquami non avevano un contenuto tossico, ma necessitavano di ossigeno per fermentare: prima che queste vasche divenissero obbligatorie per legge, i liquami venivano sversati nei fiumi, dove la loro fermentazione provocava la totale anossia delle acque, e la conseguente moria di tutta la fauna acquatica. Attualmente le vasche in questione, dopo 26 anni, esaurito da tempo il processo di ossidazione, hanno un aspetto prativo, delimitato dagli antichi arginelli. Attigui alle vasche si alzano ancora i resti dello zuccherificio, in stato di abbandono.
Ed è sopra a queste vasche che la società Sipro, gestore di un insediamento industriale nell’entroterra, ha concordato alla chetichella con il Comune il deposito di rifiuti di Classe B dianzi nominato, provenienti dalle bonifiche di terreni inquinati, trattati dalla ditta Petroltecnica di Rimini , per un volume di 250.000 metri cubi, equivalente ad uno spessore di materiale di oltre un metro. L’area dei depositi resterebbe interdetta per 10 anni (non agli uccelli, anzi si prospetta di approntarvi una garzaia!), il tempo necessario alla “maturazione” dei terreni, i quali resterebbero di provenienza ignota, e trattati dalla Petroltecnica per il solo contenuto in idrocarburi. Vale a dire che ogni altro eventuale contenuto di inquinanti, di qualsiasi genere, vi resterebbe inalterato.
Le speranze di sventare questo accordo, del quale si è appreso l’esistenza in Consiglio Comunale per una soffiata, è affidata all’ormai tumultuosa protesta dei comacchiesi, alla battaglia di alcuni Consiglieri di opposizione, e all’iniziativa di Legambiente Comacchio e dell’ ASOER, Associazione Ornitologi Emilia Romagna. Oltre a una corposa e documentata critica al progetto, esse presentano una soluzione alternativa, cioè la creazione nelle vasche di una zona umida di acqua dolce, opportunamente strutturata in bassissimi fondali e isole, alimentata dalle acque del Consorzio di Bonifica. Tale zona umida verrebbe presto frequentata dalle numerose specie avicole che prediligono l’acqua dolce, mentre l’acqua delle Valli è salmastra.
L’aspetto qualificante di questa soluzione risiede nella possibilità di fruire di contributi regionali ed europei che coprirebbero per intero le modeste spese di realizzazione e di fruizione. Non vi sarebbe nemmeno apporto di terreno sulle vasche. Gli ostacoli che si presentano sono la scadenza a breve del bando per ottenere i contributi, e il fatto che la domanda deve essere presentata dal proprietario dell’area, cioè guarda caso, la SIPRO. Il dialogo fra le parti è comunque iniziato. Auguri e scongiuri, dunque!

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