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Una breve panoramica sul quadro normativo riguardante la gestione delle specie alloctone e considerazioni sulla conservazione dei pesci delle acque interne in Italia

Vincenzo Caputo Barucchi1, Andrea Gandolfi2, Andrea Splendiani1
1Università Politecnica delle Marche, Ancona
2Fondazione Edmund Mach, Trento

In quanto importante rifugio glaciale del Mediterraneo (1), l'Italia ospita una gamma unica di biodiversità, oggi profondamente alterata dalle pressioni antropogeniche. Circa il 30% dei vertebrati italiani è minacciato, con i pesci d'acqua dolce che raggiungono un picco del 50% (2). In particolare, le specie aliene e invasive di pesci d'acqua dolce costituiscono una grave minaccia per gli effetti diretti (per es. predazione) e indiretti (per es. competizione per le stesse risorse) su quelle native, rispetto alle quali sono diventate oggi più numerose su scala nazionale (3).

In attuazione della Direttiva Habitat della Commissione Europea del 1992 (4), l'introduzione di specie e popolazioni non autoctone è stata inizialmente consentita in Italia, previa richiesta al Ministero dell’Ambiente e conseguente autorizzazione, vincolata all’assenza di alcun pregiudizio agli habitat naturali, alla fauna e alla flora selvatiche locali (5); tale legge è stata modificata nel 2003 (6) in senso restrittivo – come peraltro contemplato nella Direttiva Habitat e demandato all’arbitrio degli Stati membri – vietando qualsiasi reintroduzione, introduzione e ripopolamento in natura di specie e popolazioni non autoctone. Nell’aprile 2020 – paradossalmente nel “super-anno della biodiversità” (7) – un Decreto ministeriale (8) ha reso attuativa, dettandone le modalità operative, una nuova modifica della legge (9): la diffusione di specie esotiche finalizzata sia al controllo biologico sia per ragioni motivate da un generico “significativo interesse pubblico" è autorizzabile e conseguentemente ammissibile. Tale nuova modifica, nata per rispondere innanzitutto alle esigenze del mondo dell’agricoltura proprio nell’ambito della lotta biologica, ha trovato un interesse e ulteriori ambiti applicativi anche da una consistente parte del comparto alieutico. La nuova legge, infatti, è stata inizialmente annunciata come una vittoria personale dal Presidente della principale Associazione italiana di pesca sportiva (10) nonché presidente della Federazione Internazionale di Pesca Sportiva in Acque Dolci (FIPSED).

Nell'ultimo decennio, prima dell’ultima modifica di legge ovvero in regime di divieto assoluto di introduzione di alloctoni in natura, centinaia di tonnellate di “trote pronto-pesca” esotiche e molti milioni di novellame di trote aliene (dei generi Salmo e Oncorhynchus) sono stati immessi annualmente dagli Enti locali nelle acque italiane, comprese le aree protette (11). La nuova modifica di legge consente l’immissione di specie di interesse alieutico solo previa autorizzazione del Ministero della Transizione Ecologica (MiTE, già Ministero dell’Ambiente) sulla base di attente valutazioni scientifiche. Inoltre, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha prodotto una lista delle specie di interesse alieutico native, su base regionale, che dovrebbe rappresentare uno strumento guida per le politiche gestionali locali (recependo la check list pubblicata dall’Associazione Italiana Ittiologi Acque Dolci) (12). Tuttavia, queste nuove disposizioni normative hanno generato, dopo l’iniziale euforia e grandi aspettative, un profondo malcontento nell’ambito delle Associazioni di pesca sportiva, sia in conseguenza dello status di alloctonia definito per alcune specie di grande interesse alieutico (ad es. trota fario atlantica e coregone), sia per l’istituzione di regole e criteri (definizione di tipologie e quantitativi ammissibili, studio del rischio, ecc.) cui nessuno era più abituato. Una costante pressione di una parte del mondo alieutico su tutti i partiti politici, pressoché di qualunque schieramento (cioè dal centro-destra al centro-sinistra), ha portato a svariate interrogazioni parlamentari, perlopiù basate su informazioni parziali e narrazioni fantasiose della realtà, fino a “congelare” la Lista dell’ISPRA: per effetto di un emendamento approvato e incluso nella Legge Finanziaria 234/2021 (art. 1 commi 835-838) (13), è stato infatti istituito presso il MiTE il ‘Nucleo di ricerca e valutazione’, composto da sei rappresentanti del MiTE, del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, di SNPA/ISPRA e da sei rappresentanti delle Regioni e delle Province Autonome, per definire quali siano le specie ittiche d’acqua dolce di interesse alieutico riconosciute come autoctone per regioni o per bacini fluviali.

Infine, l’ultimo tentativo di certa politica di accontentare le richieste ‘liberiste’ di una parte del mondo alieutico è stato rappresentato da un emendamento inserito nel Decreto milleproroghe (14) nel tentativo di sospendere l’articolo e il comma (art. 12, comma 3) del DPR 357/97 che, nella forma modificata e in vigore, sanciscono i limiti all’immissione delle specie esotiche. Fortunatamente, per un maldestro errore di forma, l’emendamento ha di fatto sospeso l’applicazione del comma 1 anziché del 3, vanificando così il tentativo del legislatore di facilitare le immissioni di specie alloctone.

Nel frattempo, tuttavia, molte Regioni continuano a immettere nei corsi d’acqua italiani la trota fario alloctona (Salmo trutta), di origine centro-europea, e la trota iridea (Oncorhynchus mykiss), di origine nord-americana, previa concessione di una deroga del MiTE (15) o ignorando in toto la normativa vigente.

Negli ultimi anni, alla trota fario atlantica e alla trota iridea si sono aggiunti gli stock domestici commercializzati come “trota mediterranea”. Questi stock, considerati in alcuni contesti come la soluzione per aggirare il divieto di introduzione delle trote alloctone, rappresentano in realtà un’ulteriore gravissima minaccia, per due principali motivi. Innanzitutto, in alcuni contesti geografici le presunte trote mediterranee (Salmo cfr. ghigi) vengono introdotte in natura al di fuori del proprio naturale areale di distribuzione. Inoltre, come già descritto in alcune pubblicazioni scientifiche, questi stock commerciali sono ottenuti dall’incrocio di diverse linee genetiche, sia native in alcune regioni italiane sia alloctone, e quando vengono immessi in natura si ibridano con le popolazioni locali (ad esempio con la trota marmorata, Salmo marmoratus), con il conseguente “mescolamento” dei tratti genetici (fenomeno noto come “introgressione”). Il trasferimento di trote da una regione all’altra (transfaunazione) finisce così con l’alterare drasticamente la struttura genetica e demografica delle popolazioni naturali, frutto di millenni di evoluzione e adattamento alle condizioni ambientali locali, pregiudicandone la sopravvivenza a lungo termine. Per esempio, è stata riscontrata la presenza di genotipi endemici del versante tirrenico dell’Appennino in un allevamento presente all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, sul versante adriatico (11); mentre nella Regione alpina centro-orientale, dove la presenza nativa di trota fario mediterranea non è storicamente documentata (16), ormai da anni vengono transfaunate trote mediterranee di provenienza appenninica per scopi alieutici (17).

Infine, come evidenziato in un documento pubblicato alcuni anni or sono a cura dell’Unione Zoologica Italiana (18), il danno arrecato da queste massicce immissioni ittiche non si limita all’alterazione dell’integrità genetica della trota mediterranea nativa, ma ha un impatto sulle comunità macrobentoniche (insetti, crostacei e altri invertebrati), sulle popolazioni di anfibi e sui pesci ciprinidi (che includono alcune specie endemiche del territorio nazionale), che costituiscono le prede di elezione delle trote aliene e native, con conseguenze ecologiche irreversibili su una compagine faunistica ancora lungi dall’essere completamente conosciuta. Basti citare, in proposito, la recente scoperta nel torrente Sanguerone (affluente del fiume Sentino, nelle Marche, Fig. 1), di una popolazione relitta di sanguinerola (Phoxinus lumarieul), un ciprinide diffuso nel bacino del Po, la cui distribuzione geografica si riteneva limitata all’Italia settentrionale (Fig. 2). Come mai questo pesciolino lungo pochi centimetri è presente in una zona distante centinaia di chilometri dal suo areale noto di distribuzione (Fig. 3)?

Fig. 1. Il torrente Sanguerone, affluente del fiume Sentino (comune di Sassoferrato, AN)
Fig. 2. Il Bacino del Paleo-Po durante le glaciazioni quaternarie e distribuzione geografica attuale della Sanguinerola (in rosso); in bianco, l’estensione della calotta glaciale alpina
Fig. 3. Un esemplare di Sanguinerola del Sanguerone in un disegno del celebre illustratore scientifico canadese Paul Vecsei (scala = 10 mm)

In effetti, fino a circa 12.000 anni fa la Pianura Padana era molto estesa verso sud e la foce del Po si trovava approssimativamente al largo dell’attuale città di Pescara (Fig. 2). Infatti, le glaciazioni del Periodo Quaternario avevano intrappolato enormi quantità di acqua nelle estesissime calotte glaciali che si estendevano su gran parte dell’Europa e del Nordamerica e perciò il mare si era abbassato di circa 90 metri rispetto al livello attuale. Di conseguenza, i fiumi delle Marche sfociavano nel Po e la fauna ittica era largamente condivisa in un “bacino padano allargato” (il Paleo-Po). Con il riscaldamento climatico successivo (iniziato circa 11.700 anni fa, col Periodo Olocenico) e lo scioglimento dei ghiacciai quaternari, il livello del mare risalì progressivamente ai livelli attuali e il Po si ritirò verso nord: lasciando però alcune popolazioni isolate di una fauna ittica ancestrale (19), di cui la sanguinerola è una preziosa testimonianza vivente. Uno studio genetico ha confermato l’unicità e l’antichità di questo vero e proprio “relitto glaciale” (20).

Purtroppo, le recenti modifiche alla normativa nazionale che di fatto aprono all'introduzione in natura dei pesci alloctoni (8, 9), rappresentano probabilmente la pietra tombale sulla vulnerabile biodiversità delle acque interne della penisola, ancora incompletamente conosciuta. Negli ultimi due decenni, la descrizione di una specie autoctona di luccio (Esox cisalpinus) (21) e la riconvalida di due specie di barbo in Italia (Barbus spp.) (22), evidenziano quanto siano ancora scarse le conoscenze sui pesci d'acqua dolce del nostro Paese. L’immissione a favore della pesca sportiva di voraci predatori alloctoni e transfaunati nei fiumi italiani (soprattutto trote) porterà definitivamente all’estinzione una biodiversità già pesantemente minacciata dall’impatto antropico e dai cambiamenti climatici (2), destinata così a scomparire prima ancora che sia nota alla Scienza.

Per concludere, siamo molto grati a Pro Natura per aver voluto dedicare uno spazio della sua rivista al gruppo zoologico forse a maggior rischio di estinzione in Italia (2), ma fortemente trascurato rispetto ai più “carismatici” vertebrati omeotermi (uccelli e mammiferi) (23). Per dare un’idea della scarsa considerazione per la salvaguardia dei pesci delle acque interne italiane, basti pensare che mentre la caccia è rigidamente vietata all’interno delle aree protette, la pesca vi è invece praticata (sebbene con alcune restrizioni). Sembra quasi che i pesci siano animali di serie B, “sacrificabili” sull’altare del compromesso fra politica e pesca sportiva, forse perché si tratta di animali elusivi e perciò poco attrattivi per quella pubblicistica naturalistica orientata invece verso i più appariscenti uccelli e mammiferi. La scarsa considerazione per la tutela dei pesci è verosimilmente anche una “eredità culturale” della tradizione cristiana che ne permetteva l’utilizzo alimentare nei giorni di magro (ad esempio, durante la Quaresima), quando invece era vietato il consumo della carne ottenuta da altri animali: ergo, sembra quasi che i pesci non siano animali in senso proprio! In effetti, tuttora la terminologia della pesca sportiva definisce “semine” le immissioni ittiche nei corsi d’acqua, come se i pesci fossero semi di grano da spargere in un campo e da raccogliere al momento della mietitura. A sottolineare ulteriormente la mentalità dei “due pesi e due misure” riservata alla fauna italiana, basti pensare che mentre uccelli e mammiferi costituiscono patrimonio indisponibile dello Stato (24), i pesci sono tuttora considerati come “res nullius” ai sensi del testo unico della legge sulla pesca (di cui al regio decreto 8 ottobre 1931, n. 1604). Nella concretezza quotidiana, poi, nessuno sembra disposto a scendere in piazza per manifestare contro i recenti cambiamenti legislativi a danno di questi animali, mentre alcuni anni or sono la morte di una singola orsa (la famosa Daniza), introdotta in Trentino nell’ambito del Progetto Life Ursus, ha suscitato lo sdegno e la mobilitazione pubblica di moltissime persone (25).

Eppure, i pesci delle acque interne italiane costituiscono un patrimonio straordinario di biodiversità, con un numero elevatissimo di specie endemiche, cioè esclusive del territorio nazionale (2); essi sono inoltre dei sensibili bioindicatori della qualità degli ambienti dulcicoli, estremamente vulnerabili agli attuali cambiamenti climatici, come attestano i recenti eventi catastrofici accaduti nelle Marche. E sono altresì i silenziosi testimoni degli incessanti mutamenti ambientali che si sono avvicendati nel corso dei millenni, come ben documenta il caso della sanguinerola scoperta recentemente nel fiume Sentino (20). Essi meritano perciò tutti i nostri sforzi per garantirne la sopravvivenza in habitat delicati e preziosissimi anche per noi, perché fatti prevalentemente di acqua.

È dunque urgente un nuovo approccio gestionale alla pesca sportiva che preveda lo svolgimento delle attività di riequilibrio biologico (immissioni ittiche o ripopolamenti) solo nei casi di un reale impoverimento demografico e nel rispetto dell’integrità genetica delle popolazioni locali (26, 27). Le attività di pesca sportiva (definite “gare”) che implicano il rilascio di pesci di allevamento dovrebbero essere limitate, infine, ai soli bacini artificiali di limitata estensione non collegati alla rete fluviale, per contrastare il gravissimo impatto ambientale sugli ecosistemi dulcicoli (in termini di diffusione di specie alloctone, di ibridazione e introgressione con gli stock genetici nativi, competizione e predazione nei riguardi della fauna nativa) (18).

 

CITAZIONI BIBLIOGRAFICHE

  1. G. Hewitt, Nature 405, 907 (2000)
  2. C. Rondinini et al., Lista Rossa IUCN dei Vertebrati Italiani (Comitato Italiano IUCN e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, 2013)
  3. A. Nocita et al., Integr. Zool. 12, 500 (2017)
  4. European Commission, The Habitats Directive (http://ec.europa.eu/environment/nature/legislation/habitatsdirective/index_en.htm)
  5. Decreto del Presidente della Repubblica Italiana, 8 settembre 1997, n. 357. https://www.mite.gov.it/sites/default/files/archivio/allegati/rete_natura_2000/Regolamento_D.P.R._8_settembre_1997_n._357.PDF
  6. Decreto del Presidente della Repubblica Italiana, 12 marzo 2003, n. 120. https://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/rete_natura_2000/D.P.R._120_del_12_marzo_2003.PDF
  7. United Nations program, 2020 is a super year for nature and biodiversity. https://www.unenvironment.org/news-and-stories/news/2020-super-year-nature-and-biodiversity
  8. Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Decreto 2 aprile 2020 (20A02112)
  9. Decreto del Presidente della Repubblica Italiana, 5 luglio 2019, n. 102
  10. https://www.fipsas.it/news/3459-specie-ittiche-alloctone-immissioni-via-libera-dal-consiglio-dei-ministri
  11. A. Splendiani et al., Conserv. Genet. 20, 343 (2019)
  12. M. Lorenzoni et al., Italian Journal of Freshwater Ichthyology 1, 239-254 (2019)
  13. LEGGE 30 dicembre 2021 , n. 234 . Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024. https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2021/12/31/310/so/49/sg/pdf
  14. LEGGE 25 febbraio 2022, n. 15. https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/export/.files/it/GU-Legge-n15_2022-di-conversione-DL-n228_2021-Testo-coordinato.pdf
  15. https://www.corriereadriatico.it/marche/trote_fiume_marche_carloni_attivita_sportiva_pesca_sportiva-6864581.html
  16. A. Splendiani et al., Biological Invasions 18, 2029-2044 (2016)
  17. A. Splendiani et al., Biological Journal of the Linnean Society 131, 909–926 (2020)
  18. http://www.uzionlus.it/documenti/Documento-UZI-ripopolamenti-ittici-20180301_finale.pdf
  19. V. Caputo Barucchi et al., Journal of Fish Biology 75, 2344–2351(2009)
  20. V. Caputo Barucchi et al., The European Zoological Journal 89, 711-718 (2022) https://doi.org/10.1080/24750263.2022.2079738
  21. P.G. Bianco, G.B. Delmastro. Researches on Wildlife Conservation. IGF Publishing, USA 2 (suppl.), 1–13 (2011)
  22. M. Lorenzoni et al., Journal of Fish Biology 98, 1433–1449 (2021)
  23. S. Fenoglio et al., The European Zoological Journal 85, 227–228 (2018)
  24. Art. 1, primo comma, della legge L. 11 febbraio 1992, n. 157, riferito attualmente alla sola fauna omeoterma
  25. https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/11/e-morto-lorso-daniza-la-provincia-non-e-sopravvissuta-alla-narcosi/1117359/
  26. R. Conniff, Pesca pericolosa. Le Scienze, gennaio 2018
  27. V. Caputo Barucchi, LIFE12 NAT/IT/000940, LIFE + TROTA, Trout population recovery in central Italy. In: Scalera R, Cozzi A, Caccamo C, Rossi I, editors. A catalogue of LIFE projects contributing to the management of alien species in the European Union. Platform Meeting on Invasive Alien Species (IAS) 29-30 November 2017, Milan (Italy), pp 64-65

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