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Quanto è attendibile l’ipotesi di 1000 miliardi di alberi?

Paolo Trost, professore di Fisiologia vegetale, Università di Bologna

1. CO2, emissioni, effetto serra, temperatura
Negli ultimi anni l’attenzione dei governi e delle élites della maggioranza dei Paesi di tutto il mondo si è venuta accentrando sulla questione del cambiamento climatico, uno dei molti e gravi problemi che affliggono in misura crescente il nostro Pianeta e l’umanità in particolare; forse quello che appare più preoccupante e urgente per la quantità e l’importanza delle conseguenze che ne derivano: dallo scioglimento dei ghiacci all’aumento dei livelli medi marini, dalla siccità alle alluvioni, dagli incendi alla desertificazione. Eventi “estremi” sempre più frequenti colpiscono direttamente le popolazioni e ormai minano interi settori dell’economia suscitando allarme; ma mai abbastanza da convincere per davvero la maggioranza della gente che tutto si sta svolgendo esattamente come gli scienziati avevano previsto più di trent’anni fa a causa delle emissioni da parte dell’uomo, e come alcuni (pochi ma irrequieti) pseudoscienziati politicamente o finanziariamente motivati ancor oggi si affannano a mettere in dubbio.
Il problema del cambiamento climatico è essenzialmente legato all’aumento in atmosfera dei gas serra (greenhouse gases, GHG), che agiscono da schermo alle radiazioni infrarosse rallentando in tal modo la dispersione del calore terrestre nella troposfera. Fra i GHG, primo imputato è il biossido di carbonio o CO2 spesso chiamato anche anidride carbonica (da cui il comune uso al femminile “la CO2”). L’aumento di gas serra nell’atmosfera porta ad un aumento della temperatura media del pianeta (che oggi è di circa 15 C°), perché quest’ultima dipende dall’intensità della radiazione solare (costante solare ca. 1,4 kW/m2), dalla distanza della Terra dal sole (ca. 150 milioni di km) e dalla composizione dell’atmosfera. La Terra gode di un effetto serra naturale che determina un aumento della temperatura media di circa 35°C al di sopra della temperatura di un corpo celeste come la Luna (temperatura media -20°C), che si trova a simile distanza dal Sole ma non possiede atmosfera.

La concentrazione di CO2 in atmosfera è cresciuta del 49% dal 1750 (prima dell’inizio della rivoluzione industriale) quando era circa 280 ppm (parti per milione) ad oggi. Nel 2021 è stata mediamente di 415 ppm. Mediamente perché la CO2 ha un andamento stagionale con un massimo nei mesi di marzo-aprile e un minimo a settembre-ottobre. L’oscillazione annuale è di circa 6 ppm, come venne documentato per la prima volta nell’esperimento detto “di Keeling” all’Osservatorio di Mauna Loa nelle Isole Hawaii (Figg. 1 e 2). Per effetto dell’aumento di quasi il 50% della CO2 atmosferica dal 1750, la temperatura media della Terra è aumentata di 1,1 C° rispetto alla media 1850-1900 (IPCC AR6; in realtà l’aumento riguarda soprattutto il periodo post 1960). Questo aumento non è affatto distribuito nello stesso modo nel Pianeta e non è percepito da tutti allo stesso modo: un abitante della Siberia, per esempio, potrebbe esserne contento. Ma non bisogna fare l’errore di sottovalutare questa differenza apparentemente modesta, tanto più che nella vita comune non siamo abituati a considerare delle variazioni di temperatura tutto sommato così piccole (nel corso di una giornata registriamo variazioni di 10 gradi o più, cosa saranno mai 1,1 gradi?). Al riguardo, può essere utile ricordare che l’aumento di 1,1 C° ha già portato allo scioglimento di metà della calotta polare artica nei mesi estivi, ha reso più frequenti eventi climatici estremi e potrebbe innescare degli effetti di retroazione positiva che sarebbe impossibile arrestare e potrebbero fare salire la temperatura molto di più. Un tipico esempio di retroazione positiva riguarda proprio lo scioglimento della calotta polare artica che come noto galleggia sull’acqua: il ghiaccio è bianco e riflette la radiazione solare mentre l’acqua è scura e l’assorbe scaldandosi. Lo scioglimento iniziale della calotta polare converte superficie chiara in superficie scura, in termini tecnici riduce l’albedo, e innesca un circuito di retroazione positiva che potrà arrestarsi solo quando il sistema avrà raggiunto un nuovo stato di equilibrio, peraltro difficile da prevedere.

Un altro esempio molto concreto riguarda lo scioglimento degli strati superficiali del permafrost, per esempio in Siberia, che porta alla liberazione del metano che il terreno congelato contiene in varie forme e in grande quantità. Non solo, lo scioglimento  del permafrost permette l’innesco di processi di metanogenesi biologica con rilascio di ulteriore metano a spese della biomassa. Il metano è un GHG 80 volte più potente della CO2, anche se molto meno concentrato in atmosfera, da qui la possibilità di un ulteriore loop di retroazione positiva dagli effetti potenzialmente devastanti.

Certo, la Terra ha vissuto periodi molto più caldi oltre che molto più freddi in tempi antichi, ma il presente cambiamento avviene ad una velocità che non ha precedenti. La civiltà umana si è sviluppata in un periodo interglaciale iniziato circa 12.000 anni fa e ha goduto di condizioni climatiche favorevoli e sostanzialmente costanti per molti secoli, perciò non sappiamo come potremmo adattarci a condizioni molto diverse. D’altra parte, il periodo interglaciale che stiamo vivendo prima o poi dovrà finire, e lasciare spazio ad una nuova glaciazione come è avvenuto nel recente passato. È anche possibile che il riscaldamento globale che stiamo vivendo possa interferire, ritardandolo, con l’inizio della prossima glaciazione, ma sono previsioni difficili da fare e si parla comunque di millenni. Non è il caso di farci troppo affidamento, mentre la catastrofe incombe.
Per convenzione, gas serra diversi ed anche più potenti della CO2 ma meno concentrati, come il metano (CH4) e l’ossido di biazoto (N2O), vengono espressi in termini di CO2 equivalenti (CO2eq), dove l’equivalenza sta proprio nell’effetto serra che inducono. Le unità di misura più comunemente usate sono le GtCO2 (miliardi di tonnellate di CO2 = 1015 grammi CO2 = Pg CO2) o le GtC o miliardi di tonnellate di carbonio (1 GtC = 3,664 GtCO2). In questo articolo si usa soprattutto l’unità di misura GtC a preferenza di GtCO2, ma resta inteso che si tratta pur sempre di una misura CO2 equivalente.

Perché la CO2 atmosferica è aumentata? La ragione è che le emissioni hanno superato gli assorbimenti (sink). Nell’ultimo decennio (2010-2021) le emissioni di CO2eq sono state mediamente di +10,6 GtC (=39 Gt CO2eq) dovute per l’89% (9,5 GtC) alla bruciatura di combustibili fossili (in ordine di importanza carbone>petrolio>gas naturale), e per circa il 10% (1,1 GtC) al cambio d’uso del terreno: che a sua volta dipende da due effetti contrapposti, cioè la deforestazione (che libera CO2 nella misura di +3,8 GtC) e l’abbandono di terreni agricoli (che consuma CO2 fissata dalla nuova vegetazione spontanea: –2,7 GtC). Questi dati, come quelli che seguono, sono ampiamente  condivisi dalla comunità scientifica internazionale e possono essere reperiti da diverse fonti, a volte con piccole differenze nei valori assoluti ma non nel loro significato generale. In questo articolo gran parte dei dati sulle emissioni di CO2 e sui depositi di carbonio provengono dalla pubblicazione “Global carbon budget 2021” (Friedlingstein et al., 2022).
Non è sempre stato così naturalmente. Nel 1960 le emissioni erano meno di un terzo di quelle attuali ed erano dovute in gran parte (46%) alla deforestazione, il resto ai combustibili fossili. Il cambio d’uso del terreno si è mantenuto abbastanza costante in termini assoluti negli ultimi 50 anni, ma è diminuito in termini relativi perché l’utilizzo dei combustibili fossili è molto cresciuto, ed ora è in assoluto il principale responsabile delle emissioni. E si noti che queste medie si riferiscono ad un decennio molto particolare che comprende il 2020, anno della pandemia, che ha visto una riduzione senza precedenti (del 5% circa) nelle emissioni di combustibili fossili. Purtroppo nel 2021 si è verificato un rimbalzo che ha quasi azzerato il risparmio dell’anno precedente.
Quasi il 50% della CO2eq emessa ogni anno nel decennio (10,6 GtC) è rimasto nell’atmosfera (+5,1 GtC = +19 Gt CO2eq per anno, che corrispondono a circa +2 ppm/anno). Il resto si distribuisce in due serbatoi (sink) principali: l’oceano dove la CO2 che si scioglie annualmente è stata pari a 2.8 GtC (contribuendo alla loro acidificazione) e le terre emerse, dove la CO2 viene fissata da organismi fotosintetici in biomassa che poi nel corso dell’anno non viene interamente respirata dagli eterotrofi (bilancio netto = +3,1 GtC). La differenza tra le emissioni e gli assorbimenti è di circa 1 Gt CO2eq all’anno (carbon imbalance). La capacità di agire da sink, sia dell’oceano che dell’atmosfera, è aumentata nel tempo in parallelo all’aumento delle emissioni. Per questo l’atmosfera non è mai stata il deposito principale della CO2 emessa in eccesso: il sistema Terra in qualche misura si adatta.

Negli ultimi trattati internazionali si è stabilito di voler contenere l’aumento della temperatura del globo entro i 2°C (Parigi) o meglio entro 1,5°C (vedi “Global Warming of 1.5°C. An IPCC Special Report on the impacts of global warming of 1.5°C above pre-industrial levels and related global greenhouse gas emission pathways, in the context of strengthening the global response to the threat of climate change, sustainable development, and efforts to eradicate poverty - SR1.5).
Il fatto è che l’emissione antropica cumulativa di CO2eq dal 1750 ad oggi è stimata in 687 GtC, con l’effetto di aver fatto innalzare la temperatura di 1.1 °C. Se vogliamo limitare l’ulteriore aumento a 1.5 °C, non dovremmo (probabilmente) emettere più di 116 GtC (= 420 Gt CO2eq), cosa che invece sicuramente faremo in soli 11 anni ai ritmi attuali di emissione di 10,6 GtC/anno. Gli stessi numeri diventano 1270 Gt CO2eq (=352 GtC remaining carbon budget) e 32 anni nel caso di +2 °C (dati Global carbon project 2021; i dati IPCC sono un po' più bassi: circa 300 GtC, di cui un massimo di 158 GtC che rimangono in atmosfera). Il problema è che la quantità di combustibili fossili che abbiamo a disposizione sotto forma di giacimenti già scoperti che aspettano solo di essere sfruttati è molto superiore a questi numeri; le riserve sicure sarebbero circa 2800 Gt CO2eq secondo una stima attendibile (Berners-Lee e Clark, 2013), abbastanza per tirare avanti 70 anni ai ritmi attuali, ma nuove riserve vengono scoperte anche ai giorni nostri. Se riverseremo impunemente nell’atmosfera 2800 Gt CO2eq la conseguenza potrebbe essere un aumento della temperatura di 5-6 gradi.
Le richieste energetiche della civiltà umana sono attualmente soddisfatte prevalentemente da combustibili fossili (attorno all’80%) che sono un disastro da un punto di vista ambientale. Dobbiamo trovare una soluzione alternativa nel giro di 10 anni, e siccome sarà molto difficile dovremmo per forza ridurne i consumi e trovare un modo per rimuovere CO2 dall’atmosfera, il tutto senza aspettare troppo tempo. E siccome le piante rimuovono CO2 dall’ambiente per effettuare la fotosintesi, ma poi quasi solo gli alberi accumulano stabilmente carbonio nel legno (mentre gran parte del fotosintato delle piante finisce col tornare prima o poi in atmosfera come CO2 o altro GHG), è verosimile che incrementando la superficie forestale del Pianeta si otterrebbe una riduzione dei GHG in eccesso. Come e in qual misura proviamo a vederlo.

2. Riserve di carbonio
In termini quantitativi gli organismi viventi, recentemente stimati in una biomassa di 550 GtC (=2000 Gt CO2eq) sono soprattutto terrestri (6 GtC biomassa marina) e sono soprattutto piante (450 GtC; 80% della biomassa planetaria), essenzialmente alberi (ca. 320 GtC di soprassuolo e 130 GtC di radici). Gran parte della biomassa arborea è metabolicamente poco attiva ed è costituita dalla parte legnosa (ca. 300 GtC), il resto è in parte fotosintetico e in parte no ma è comunque metabolicamente attivo e a turnover più rapido del legno; la parte puramente fotosintetica è probabilmente molto piccola, forse solo 1,5 GtC. Questi valori vanno confrontati con le poche GtC di organismi fotosintetici marini: nei mari le 6 GtC di biomassa totale sono dominate dai consumatori che costituiscono ca. l’80% della biomassa (soprattutto animali e protisti non fotosintetici). I produttori marini sono in media meno dei consumatori (20% = 1,2 GtC), soprattutto microrganismi fotosintetici come le diatomee e altre alghe unicellulari e cianobatteri, ma anche macroalghe e piante acquatiche, e sono a rapido turnover. La produzione primaria dei due sistemi, terrestre e marino, è simile (Falkowski e Raven, 2007) e anche la biomassa fotosinteticamente attiva è simile (1-2 GtC). La differenza sta nel fatto che solo le piante terrestri formano strutture di sostegno resistenti alla degradazione (lignine) che, a livello planetario, costituiscono una riserva di carbonio di 2 ordini di grandezza maggiore dello stock puramente fotosintetico (Bar-On et al., 2018, 2019).
Gli organismi terrestri generano sostanza organica che ritroviamo negli strati superficiali del suolo e che può essere più o meno resistente alla degradazione microbica, che tende a restituire il C all’atmosfera come CO2 (o in particolari condizioni, metano CH4, come nel caso del permafrost superficiale che si scioglie). La massa totale del carbonio organico nel terreno (soil organic carbon, SOC) è stimata molto superiore alla biomassa: si parla di 1700 GtC, cui aggiungere 1400 GtC a turnover molto più lento perché intrappolate nel permafrost (Friedlingstein et al., 2022).
Le piante (o meglio le piante C3, che sono la maggioranza) tendono a crescere di più se fertilizzate da CO2 in eccesso, e per questo la capacità di sink degli ecosistemi terrestri nei confronti della CO2 emessa da combustibili fossili sta aumentando con l’aumento delle emissioni stesse. Per quanto riguarda il SOC, la relazione tra aumento di CO2 e dimensioni di questo serbatoio tende ad essere meno lineare, ma come regola generale sembra che negli ecosistemi in cui l’aumento di CO2 atmosferica tende a far aumentare maggiormente la crescita delle piante, la crescita della SOC sia inferiore e può anche essere nulla o negativa. Viceversa, dove le piante crescono di meno, cresce di più il SOC (Terrer et al., 2021).

3. Superfici
La superficie terrestre è di 55 miliardi di ettari (gigaettari, GHa). Le terre emerse sono circa 15 GHa di cui il 70% potenzialmente abitabile (= 10,4 GHa) escludendo deserti, ghiacciai etc. In un recente lavoro (Bastin et al., 2019) sono state fatte delle stime molto accurate sulla base di dati satellitari (80.000 immagini) e utilizzo di intelligenza artificiale. Il ragionamento grossomodo è il seguente. Un po' più di metà della terra abitabile è ricoperta da foreste, se per foreste si intende ciò che la FAO definisce come una superficie di almeno mezzo ettaro coperta dalle chiome degli alberi per almeno il 10% e che non abbia al suo interno attività agricole né abitati umani. Sulla base di questa definizione, 5,5 GHa è la superficie forestale attuale; si calcola che la massima superficie a foreste del Pianeta potrebbe raggiungere gli 8,7 GHa. Si tratta di una superficie potenziale e teorica, perché dei 3,2 GHa in più rispetto alla superficie attuale 1,4 GHa sono già utilizzati per coltivazioni agricole. Quindi restano 1,8 GHa non coperti da foreste trattandosi di praterie, cespugliati, savane, terreni degradati e altro, che comunque presentano una copertura arborea inferiore al 10%. Questi 1,8 GHa sarebbero la superficie sulla quale si potrebbe far crescere nuovi alberi per aumentare lo stock di carbonio della biomassa (attualmente 550 GtC) e quindi trasferire del carbonio dall’atmosfera (attualmente 875 GtC sotto forma di CO2) a qualcosa di più stabile come il legno, benché non eterno.

Con un approccio diverso, ma sulla base degli stessi dati, la superficie forestale si può anche calcolare facendo semplicemente una stima di tutto ciò che è coperto dalla chioma degli alberi (la volta arborea). In questo senso un ettaro di foresta nel senso della FAO può corrispondere a 1 Ha di volta arborea se la copertura è del 100%, ma anche solo a 0,1 Ha se la copertura è del 10%. La stima finale cambia parecchio, perché in questo modo la superficie forestale mondiale diventa di soli 2,8 GHa e quella massima potenziale di 4,4 GHa. La differenza (1,6 GHa) deve essere decurtata della quota utilizzata dall’agricoltura. In questo modo si arriva al valore di 0,9 GHa che gli autori (Bastin et al., 2019) propongono come la stima migliore di superficie del Pianeta idonea a progetti di (ri)forestazione e “afforestazione”.
Il 50% di questa superficie si trova in 6 paesi, nell’ordine: Russia, USA, Canada, Australia, Brasile e Cina. E qui si sarebbe tentati da qualche considerazione geopolitica, magari all’ingrosso. Si può osservare, per esempio, che la Russia nel breve termine può essere avvantaggiata più che sfavorita dai cambiamenti climatici, per l’aumento di superficie coltivabile e di rese, l’apertura di rotte di navigazione artiche ed altri effetti ancora, e per questo al momento non pare molto interessata a collaborare a progetti internazionali di mitigazione. Peccato: perché dei 900 milioni di ettari passibili di riforestazione, 150 sono proprio in Russia.
Circa il numero di alberi che potrebbero crescere sui suddetti 0,9 GHa vi sono stime diverse e comprese tra 1000 a 1500 miliardi, considerando che gli alberi attuali sarebbero circa 3000 miliardi. Si noti che 1000 miliardi di alberi distribuiti su 0,9 GHa corrispondono a circa 6 mq per albero, che poi sarebbe la proiezione della chioma sul terreno; insomma, il valore di 1000 miliardi di alberi di cui spesso si legge è per così dire un po' tirato. Il valore di 0,9 GHa calcolato da Bastin et al. (2019) si avvicina alla proposta dell’IPCC (6° rapporto) di riforestare 1 GHa come misura per contenere l’aumento di temperatura entro +1,5 °C al 2050. Tuttavia, l’IPCC ha utilizzato il termine foresta nel senso della FAO (minimo 10% tree cover), quindi 1 GHa secondo l’IPCC corrisponde a 0,1-1,0 GHa di copertura secondo Bastin et al. (2019) a seconda del livello di chiusura della volta arborea che si intende ottenere.

4. Foreste e carbonio
Quanto carbonio potrebbero contenere 0,9 GHa di nuove foreste nell’accezione di Bastin et al. (2019)? In un’immagine statica, si calcolano 205 GtC, facendo semplicemente l’ipotesi che un pezzo di terreno riforestato assuma immediatamente la stessa copertura di un terreno adiacente forestato (la copertura varia con il tipo di foresta, se boreale è di solito del 30-40%, se tropicale 90-100%). Se sottraiamo 205 GtC all’atmosfera, la concentrazione di CO2 scenderebbe di circa 100 ppm (1 ppm = 2,1 GtC) tornando ai livelli del 1950 (ca. 310 ppm). Di fatto, 205 GtC sono circa un terzo delle emissioni antropogeniche dal 1750 ad oggi (660 GtC). Niente male, se fosse così.
Nella realtà noi possiamo al massimo piantare alberi che per crescere avranno bisogno di anni, nel corso dei quali i cambiamenti climatici continueranno a modificare le condizioni di crescita. In effetti, a prescindere dalla riforestazione, la superficie attualmente coperta da alberi di 2,8 GHa è destinata a diminuire da qui al 2050 a causa dei cambiamenti climatici (ca. -8% stando a Bastin et al., 2019), in particolare si prevede che la copertura aumenti nelle foreste boreali relativamente rade, ma diminuisca notevolmente nelle foreste tropicali ad elevata densità di volta arborea (altri studiosi però non sono così pessimisti). E come è ovvio, le nuove foreste ci metteranno decine di anni per raggiungere la condizione in cui una quantità significativa di carbonio (es. 205 GtC) sia stabilmente stoccata. Per dare un’idea, è comunque utile considerare che se le 205 GtC fossero davvero accumulate in 20 anni, l’accrescimento delle nuove piante potrebbe compensare completamente le emissioni di C nei medesimi vent’anni (al momento circa 10 GtC/anno). Il che vuole anche dire che se noi piantiamo alberi su 0,9 miliardi di ettari e continuiamo a riversare nell’atmosfera le stesse quantità di CO2, dopo vent’anni avremo fatto patta e punto e a capo. Viceversa, quello che sarebbe interessante sarebbe piantare alberi per guadagnare tempo rispetto alla catastrofe annunciata, tempo da utilizzare per trovare e applicare nuove soluzioni di contenimento delle emissioni.

5. Controversie
Le valutazioni di cui sopra si prestano a varie obiezioni, talune aspre. Secondo Lewis et al. (2019) il calcolo di 205 GtC è sovrastimato, mentre una quantità dell’ordine di 100 GtC è una stima molto più ragionevole e corrisponde grossomodo alla quantità di C che abbiamo perso con il cambio d’uso del terreno dall’inizio dell’agricoltura. Ciò in base all’idea che noi possiamo al massimo ricostituire le foreste che abbiamo tagliato, ma non trasformare per es. le praterie in foreste, se le praterie sono il risultato di milioni di anni di evoluzione. Skidmore et al. (2019) inoltre osservano che sulla base delle velocità di crescita conosciute 0,9 GHa di alberi appena piantati non possono accumulare 205 GtC in soli 30 anni - il tempo richiesto per contenere l’aumento della temperatura in +1,5 gradi entro il 2050, cioè fra 28 anni. Ci metteranno molto più tempo. Per raggiungere quella biomassa di 205 GtC bisognerebbe piantumare una superficie ben superiore (x 3,2) e del tutto irrealistica.

Nel calcolare 205 GtC in 0,9 GHa afforestati, è probabile che Bastin et al. (2019) sovrastimino di parecchio il contributo del SOC, supponendo che laddove si piantano degli alberi aumenti sia il C della biomassa che il C del suolo (SOC), in quanto parte dei prodotti della fotosintesi finiscono nel suolo. Veldman et al. (2019) obiettano, al contrario, che piantare degli alberi in ambienti come le praterie montane e le praterie temperate equivale a perdere SOC anziché incrementarla. Poi fanno notare che in molti ambienti (quali taiga e tundra), piantare alberi (scuri) equivale a ridurre l’albedo della superficie terrestre che è più forte quando è innevata, con effetti sulla temperatura. Infine osservano che ci sono praterie che sono così da milioni di anni perché gli animali erbivori (insetti e ungulati) e gli incendi impediscono la crescita degli alberi, e in questi ambienti raggiungere il risultato potrebbe avere gravi conseguenze in termini di biodiversità. Sulla base di queste considerazioni Veldman et al. (2019) propongono una riduzione delle 205 GtC a 42 GtC, e riconoscono che sarebbe comunque un buon risultato, ma certo non sufficiente se vogliamo veramente contenere l’aumento della temperatura a +1,5 °C entro il 2050.
Friedlingstein et al. (2019) fanno considerazioni in parte analoghe, e in particolare ricordano che ci sono ambienti non forestali che contengono tanto C quanto le foreste se si prende in considerazione anche il SOC, per esempio le praterie temperate dove la piantumazione di alberi porterebbe ad effetti che Bastin et al. (2019) avrebbero di molto sovrastimato.

In conclusione, molti esperti concordano che riforestare (o “afforestare”) 0,9 GHa di terra anche con il 100% di copertura arborea non porterà al sequestro di 205 GtC entro il 2050 ma molto di meno (da 42 a 100), e tuttavia ne vale la pena. E tutti concordano che non ha senso piantare alberi se non si riducono anche le emissioni. Infine, venendo brevemente alle proposte che circolano di questi tempi in Italia, si dovrà riconoscere che nuove piantumazioni di centinaia o migliaia di alberi all’interno di ogni città e tutt’attorno sarebbero estremamente utili e consigliabili per via degli effetti sul benessere fisico e mentale della gente, sulla vivibilità e salubrità dei luoghi (si pensi solo all’effetto sulla temperatura locale o all’abbattimento di gas e polveri sottili), ma non potrà in alcun modo risolvere i problemi globali dei gas serra e del clima: se non nel quadro di una gigantesca e intensa opera internazionale di creazione di nuove foreste. Di cui si vede la necessità e l’urgenza ma per ora poche tracce concrete.

Unità di misura e conversioni
1 Gigaton (Gt) = 1 miliardo di tonnellate = 1 × 10 15 g = 1 petagrammo (Pg)
1 kg carbonio (C) = 3,664 kg biossido di carbonio (CO2) (il C pesa 12 e la CO2 44: 44/12=3,664)
1 GtC = 3,664 miliardi di tonnellate CO2 = 3,664 GtCO2
1 ppm CO2 in atmosfera = 2,124 GtC
1 GHa = 1 miliardo di ettari (Ha) = 10 milioni (106) kmq

Numeri in sintesi
Massa di carbonio in atmosfera (2022): 875 GtC
Biomassa terrestre totale del Pianeta (alberi per l’80%): 550 GtC
Biomassa marina: 6 GtC
Massa di carbonio nel terreno: 1700 GtC
Emissioni antropogeniche annuali di gas serra in eccesso (in CO2eq): 10,6 GtC
Aumento annuo medio del carbonio in atmosfera (in CO2eq): 5,1 GtC
Terreni da rimboschire secondo Bastin et al. (2019): 900 milioni di ettari, 0,9 GHa (copertura completa)

Bibliografia essenziale
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