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Riciclo delle batterie al litio

Riccardo Graziano

Con l’aumento del numero di veicoli a propulsione elettrica alimentati da batterie al litio - come peraltro anche molteplici dispositivi elettronici - diventa imperativo iniziare ad occuparsi dello smaltimento di tali batterie una volta esauste. Senza dimenticare che il crescere della domanda di questo tipo di accumulatori implica anche la necessità di reperire nuova materia prima, possibilmente senza devastare il pianeta con centinaia di nuove miniere o terreni di estrazione. Il duplice problema dell’approvvigionamento di nuova materia prima e dello smaltimento delle batterie esauste ha una soluzione comune: il riciclo.

La richiesta di batterie al litio aumenta esponenzialmente: nel 2020, la domanda globale è stata di 282 GWh mentre la previsione per il 2030 è oltre dieci volte tanto, intorno ai 3.500 GWh. È chiaro che non si può pensare di martoriare il territorio per aumentare a dismisura l’estrazione di litio, componente principale delle batterie, nonché degli altri materiali che concorrono alla loro fabbricazione. È dunque necessario implementare un efficiente sistema di raccolta e recupero delle batterie esauste, analogamente a quanto già avviene con gli accumulatori al piombo, studiando nel contempo dei processi industriali che consentano di ottenere nuova materia prima a costi concorrenziali o addirittura inferiori rispetto all’estrazione in miniera, per salvaguardare l’ambiente e contenere i futuri costi di produzione.

Per fortuna, già da tempo c’è chi si occupa della questione, in primis Tesla, indiscusso leader mondiale della produzione di auto elettriche, dunque anche maggior utilizzatore delle materie prime necessarie, seguita a distanza dalle altre Case automobilistiche che iniziano finalmente a spostarsi verso l’elettrico, anche se con colpevole ritardo. Ma in Italia c’è anche un altro attore primario che si occupa del riciclo, semplicemente ampliando il raggio della propria missione aziendale: è il Cobat, il Consorzio batterie che già si occupa della raccolta e smaltimento degli accumulatori dei veicoli col motore a scoppio e che a livello europeo è fra i fondatori di Reneos, la rete dei sette maggiori operatori continentali del settore.

In un’ottica di economia circolare e di maggiore efficienza dei processi industriali di recupero delle materie prime contenute nelle batterie, Cobat e CNR – Centro Nazionale Ricerche – hanno recentemente registrato un brevetto relativo a un nuovo processo per il trattamento di batterie al litio che prevede l’utilizzo di un processo chimico idrometallurgico in grado di aumentare la capacità di recupero del litio e degli altri componenti degli accumulatori esausti.

In generale, il processo di recupero e riciclo dei componenti delle batterie si articola in tre fasi principali: smontaggio, recupero materiali e successiva purificazione. Il primo passo consiste nello smontare fisicamente la batteria, lavoro che deve essere eseguito da maestranze specializzate nell’operare su componenti ad alta tensione, che devono essere separati e messi in sicurezza prima di procedere alla frantumazione meccanica. In questa fase manuale si recuperano i materiali di rivestimento e componenti in ferro, rame e alluminio.

Successivamente si passa al recupero dei materiali preziosi, le “terre rare” che compongono il cuore della batteria, fra cui appunto il litio. I processi tecnici di questa fase sono lapirometallurgia (liquefazione ad alta temperatura che consente di ricavare anche nichel, cobalto e rame) e l’idrometallurgia, che prevede una serie di lavorazioni con solventi chimici. Le due tecniche possono essere utilizzate in alternativa o insieme, a seconda di cosa e quanto si vuole recuperare. In ogni caso, i materiali ottenuti non hanno un grado di purezza ottimale, per cui è necessario ricorrere alla terza fase, che è appunto la purificazione, in grado di restituire materie prime  riutilizzabili per nuovi processi produttivi, tra i quali naturalmente la produzione di nuove batterie. Un perfetto esempio di economia circolare.

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