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Simbiosi e complessità: le parole chiave per il post COVID-19

Aldo Di Benedetto

Si continuano a rilanciare messaggi di ripresa come se nulla fosse cambiato e nulla cambierà rispetto al pre-Covid-19. E invece la ripartenza dovrebbe fondarsi su alcuni punti chiave, nei quali le regole e le condizioni sono diverse rispetto al passato.
Per far fronte alle conseguenze della pandemia da virus SARS-COV-2, che ha coinvolto aspetti non solo sanitari ma anche sociali ed economici, ritengo non si possa prescindere da un innovativo modello scientifico e istituzionale, abbandonando quei presupposti riduzionistici che ci hanno condotto in un vicolo cieco. Questo vale per la ricerca scientifica: ci eravamo illusi di aver eliminato la malattie infettive, invece siamo in piena emergenza pandemica; quanto alle istituzioni pubbliche pagano lo scotto di avere perso il controllo delle regole dello sviluppo economico, finito nelle mani di grandi gruppi finanziari che hanno condizionato la globalizzazione dei mercati e le regole del gioco. La ripartenza, quindi, dovrà fondarsi su una visione complessa e un approccio sistemico che faccia leva su una nuova organizzazione delle istituzioni sanitarie e sociali e su una visione integrata e coerente degli obiettivi sanciti dall’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile.

"Più si comunica, meno si comunica": il paradosso della società
Credo che questo sia un percorso obbligato, tuttavia si continuano a rilanciare messaggi di ripresa come se nulla fosse cambiato e nulla cambierà rispetto al passato. Quotidianamente assistiamo alla inflazione di informazioni che imperversa sui mass media e sui social, alla contrapposizione di esperti e scienziati nel dare riscontro alle domande che vengono dai cittadini, inermi di fronte a un drammatico scenario.
Al riguardo vorrei citare un’affermazione molto significativa del filosofo ed epistemologo Mauro Ceruti: “C’è un paradosso nella nostra società: più si comunica e meno si comunica, più piovono informazioni e meno siamo informati, più siamo interdipendenti e meno siamo solidali. Il morbo della semplificazione è andato di pari passo con la frammentazione dei saperi e delle discipline, che ha isolato gli esperti nelle rispettive specialità”.
Gli scienziati chiamati in causa spesso si rifugiano nell’incertezza; in molti sostengono che questo virus non lo conosciamo, per questo abbiamo la necessità di raccogliere più dati e pubblicazioni! Forse non ci si vuole rassegnare alla complessità dove la certezza è pura illusione, mentre sarebbe necessaria la cooperazione fondata sulla condivisione delle conoscenze e sulla cooperazione delle discipline.

Simbiosi, i vantaggi della cooperazione
Lo studio delle basi della biologia ci insegna che i virus sono microrganismi che formano partenariati simbiotici con specie eucariotiche (e non solo) e ne abbracciano tutti gli stadi evolutivi. Come ha scritto lucidamente Aldo Sacchetti, nella sua ultima opera “Scienza e Coscienza”: “L’evento fondamentale di tutto il percorso evolutivo verso l’uomo, il sorgere della cellula eucariotica, non è stato una semplice mutazione, né il trionfo della macabra competizione predatoria spesso offerta dai programmi naturalistici televisivi, bensì la progressiva instaurazione di una simbiosi multipla, di un saldo legame interspecifico che illumina la coerenza cooperativa alla base di tutto l’ordine vivente. La nostra mente non può misurare la complessità della natura. Ne è misurata”.
In un recente articolo di approfondimento, l’illustre ricercatore di microbiomi umani David Relman ipotizza che "le simbiosi sono gli ultimi esempi di successo che si fondano sulla collaborazione e sui potenti benefici delle relazioni intime". Questa espressione eloquente sottolinea i vantaggi che la cooperazione con i partner microbici offre a tutte le forme di vita, compresi i virus. Documentare la diversità dei microbi presenti nelle diverse specie ospiti, potrà consentire alla ricerca interdisciplinare di porre nuove domande sulla natura delle interazioni tra le specie.

Come cambia una relazione
Le simbiosi microbiche sono comunemente classificate come parassitismo, commensalismo o mutualismo, tuttavia la relazione simbiotica può cambiare a seconda dei processi evolutivi che possono essere condizionati dai cambiamenti nelle condizioni ambientali e dello stato di salute dell'ospite primordiale, costretto ad adattarsi ad habitat diversi per la perdita della sua nicchia ecologica. Due aspetti, questi, che connotano lo spillover e la conseguente trasformazione opportunistica del virus che potrà diffondersi a macchia d’olio sul nuovo ospite come nel caso delle epidemie.
È il nostro modello di sviluppo e le conseguenti azioni e manipolazioni che hanno turbato questi stadi evolutivi, favorendo il passaggio da una condizione di mutua collaborazione a una condizione di invadenza opportunistica di altre specie ospiti e di diffusione epidemica e pandemica per noi esseri umani. Peter Daszak, ecologo delle malattie e presidente di EcoHealth Alliance, in un articolo pubblicato sul New York Times nel febbraio 2020 sostiene che: “la nostra impronta ecologica ci avvicina sempre di più alla fauna selvatica in aree prima inaccessibili del pianeta, il commercio, anche per collezionismo, porta questi animali nei centri urbani. La costruzione di strade con un ritmo senza precedenti comporta in molte aree una deforestazione senza seguire criteri di sostenibilità, al tempo stesso la bonifica e lo sfruttamento massiccio dei territori per fini agricoli, nonché i viaggi e il commercio ormai globale, ci rendono estremamente sensibili ai patogeni come i coronavirus”.
Orbene, affermare che siamo in guerra contro un nemico chiamato SARS-COV-2 è un’asserzione fuorviante che non fa capire l’origine del problema, alimenta le incertezze e il disorientamento, come se dovessimo armarci per combattere un nemico che non vediamo; allora, una volta “vinta la guerra” riprenderemo le nostre vecchie abitudini insostenibili. D’altro canto, per come si evolvono le epidemie un rimedio verosimilmente efficace sarebbe il vaccino che, in verità, non rappresenta un’arma ma un sussidio per stimolare una reazione compensativa del nostro sistema immunitario per ristabilire la propria omeostasi, alla sanità pubblica per offrire uno presidio per la profilassi di ulteriori contagi.

Il quadro dei sistemi sanitari
Il paradossale quadro organizzativo dei servizi sanitari ha evidenziato tutte le contraddizioni di politica sanitaria messe in atto nel corso degli anni, che ha enfatizzato le strutture ospedaliere cosiddette di eccellenza, mettendo in secondo piano i servizi territoriali di base e di prevenzione. Di conseguenza, per far fronte alla drammatica pandemia si è dovuta potenziare la rete ospedaliera delle terapie intensive, sovraffollate, scaricando gli eccedenti nelle case di riposo e sugli hospice, del tutto inadeguati ad affrontare situazioni di emergenza.
Nell’evocare il ruolo della sanità pubblica, ci si riferisce impropriamente all’assistenza ospedaliera, ciò che invece ha dimostrato clamorosamente questa epidemia è la debolezza delle organizzazioni territoriali di base finalizzate alla prevenzione primaria e alla sanità pubblica; anche nei Dipartimenti di prevenzione sussiste la frantumazione delle competenze disciplinari, burocratizzate e scarsamente integrate, con gravi limitazioni nell’approccio One Health che sarebbe dirimente per affrontare la complessità delle problematiche collegate al rischio delle EID (Emergency Infectious Diseases), alla sorveglianza sanitaria e alla prevenzione primaria.
Questo quadro drammatico ci sollecita, pertanto, ad attrezzarci per il futuro, ma con regole e condizioni diverse dalle note dolenti del passato, a partire da un potenziamento e un rinnovamento organizzativo e funzionale dei servizi territoriali di base e dei Dipartimenti di Prevenzione, alimentando un profondo rinnovamento culturale e organizzativo, con la consapevolezza di un approccio sistemico, per salvaguardare i sacrifici e i grandi investimenti ci accingiamo a mettere in atto per “ripartire”.
Streicker suggerisce che: “il lavoro futuro dovrebbe concentrarsi sui tratti del virus che potrebbero migliorare la loro propensione a saltare alle persone e dovrebbe considerare come il commercio della fauna selvatica e il cambiamento ambientale, spingano gli animali a contatto con più persone e influenzino l'emergere di virus”.
Per di più, la risoluzione delle complesse relazioni tra biodiversità e rischio EID consentirebbe un risparmio di milioni di vite umane e di costi economici esorbitanti per far fronte alle epidemie; al riguardo la strategia One Health offre una piattaforma globale per l'integrazione della mitigazione del rischio EID nella pianificazione dello sviluppo sostenibile, “equilibrando le tre dimensioni dell’Agenda 2030: economico, sociale e ambientale", con vantaggi sostanziali per i sistemi sanitari, la produzione di bestiame, la sicurezza dei cittadini, la salvaguardia degli ecosistemi.

Da: www.scienzainrete.it

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