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Socia della

Oro blu

Sofia Filippetti (Laureata in Biologia dell’Ambiente, assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Torino)

Due atomi di idrogeno, un atomo di ossigeno, legami polari, molecole connesse tra di loro: la base della vita: l’acqua.

Mare, fiumi, laghi, l’acqua che beviamo, con cui ci laviamo, con cui cuciniamo, l’acqua con cui irrighiamo i campi, l’acqua nella quale navighiamo, che usiamo come fonte di energia, che scorre nelle piante, che ci culla nel liquido amniotico nel grembo materno, che conteniamo dentro il nostro corpo (dal minimo di 55-60% dell’anziano al massimo del 90% del neonato…), che piove giù dal cielo. L’acqua che riempie la Terra per il 71%, l’acqua che è habitat, che è alla base del funzionamento ecosistemico, dei cicli biogeochimici senza i quali ci esauriremmo. Origine dell’esistenza, di ogni esistenza da noi conosciuta, la sua importanza è talmente cristallina che sin dall’antichità è stata considerata simbolo e tramite della purificazione del corpo e dello spirito.

Necessaria, indispensabile, essenziale, da sempre l’acqua è stata utilizzata per i più disparati scopi umani: l’alimentazione, l’igiene, per domare il fuoco, per il giardinaggio, usi ricreativi, ragioni religiose, usi agricoli, motivi industriali, in veste di fonte energetica, come solvente e reagente, per riscaldare e raffreddare. A raccontarla così, a far riferimento a quel fantomatico 71% che riempie la Terra, però, pare che il nostro pianeta disponga di una fonte pressoché inestinguibile di questo oro blu: niente di più distante dalla realtà. Tanto per cominciare, conditio sine qua non per questi “più disparati scopi umani” è il trattamento, ché l’acqua ha le sue proprietà e caratteristiche intrinseche, e in base agli impieghi cui si vuole destinare deve essere trattata, come addomesticata (altresì riconosciuta in veste dell’importante concetto di “water safety”). E poi, come ogni elemento integrante della Natura, l’acqua non è inesauribile, non è influenzata dai nostri ordini, ma lo è certamente dalle nostre azioni: quando la domanda supera l’offerta, quando inquiniamo l’ambiente in cui ci troviamo, quando non abbiamo cura della salute della Terra.

Alla fine, si approda sempre lì, nella grande problematica (e colpa) del nostro secolo: il cambiamento climatico.

Il report IPCC 2022 (The Intergovernmental Panel on Climate Change) mette nero su bianco la gravità della situazione, affrontandola da tutte le sue angolazioni e approfondendo in un capitolo apposito anche la risorsa acqua. Il cambiamento climatico, di cui l’uomo è innegabile parte responsabile con le sue azioni, è strettamente connesso ad un incremento delle temperature, le quali definiscono una alterazione nei pattern di precipitazione dell’acqua, causando una maggiore frequenza di alluvioni e allagamenti, di eventi estremi, oltre ad una variazione della portata dei fiumi ed un innalzamento della quota neve. In sostanza: cambiano gli impatti sul paesaggio, sugli habitat, sulla vita. Sulla vita di tutti: delle piante, degli animali, degli uomini, perfetto esempio della necessità dell’approccio One Health.

L’acqua, infatti, è alla base di ogni esistenza, la connette, la collega, è il canovaccio su cui si sviluppa ogni essere, e un suo disequilibrio ha una ricaduta importante a più livelli. L’alterazione del ciclo idrologico, volendo essere antropocentrici, va ad impattare anche la cosiddetta “water security”, vale a dire “la capacità di una popolazione di garantirsi l’accesso sostenibile a risorse idriche che siano adeguate, sia in termini di quantità che di qualità, per garantire la vita umana, lo sviluppo socio-economico, la protezione dell’ambiente e delle specie animali e vegetali, nonché per prevenire disastri idrici e preservare gli ecosistemi in un clima di pace e stabilità politica”. E non si tratta di una situazione ipotetica, di qualcosa che potrebbe succedere: è qualcosa che sta già accadendo. Nel mondo, come riportano l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNICEF con i dati del 2021, una persona su quattro non ha l’accesso ad acqua potabile gestita in modo sicuro. Vale a dire che una persona su quattro non ha la possibilità di usufruire di quel bene inestimabile e che è risaputo essere fondamentale per la salute, la dignità e il benessere. Un dato pazzesco, se si considera che nel 2010 (solo nel 2010!) il diritto all’acqua potabile è stato riconosciuto per la prima volta come diritto internazionale vincolante dalle Nazioni Unite. Viene da sé, allora, che l’emergenza acqua deve essere urgentemente risolta con tutte le forze di cui disponiamo, motivo per cui compare nella “Agenda 2030” in veste di “Obiettivo 6”: garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie. E qui, comunque, parliamo ancora solo del nostro punto di vista, estremamente egoista. Ma è tutto inevitabilmente connesso. Secondo gli studiosi, infatti, il cambiamento climatico e l’acqua hanno un legame indistricabile, che si traduce in svariate e molteplici sfaccettature. Le ricadute negative di questo disquilibrio, di questo legame, le stiamo già sperimentando sulla nostra pelle. Siccità (ci basti pensare alle impressionanti fotografie del letto del fiume Po di qualche tempo fa), innalzamento dei livelli del mare, scioglimento dei ghiacciai, piogge improvvise e torrenziali. Piogge talmente tanto violente e abbondanti, che arrivano con talmente tanta forza e talmente tanta intensità da non permettere alle piante e al terreno di farne uso, con un conseguente deflusso eccessivo, che diventa veicolo di contaminanti, i quali arrivano nei fiumi, nei laghi, nei mari, ad inquinarli, a squilibrarli (con l’eutrofizzazione), ad avvelenare il plancton e poi i pesci che alla fine arrivano a noi. Sembra un po’ “Alla fiera dell’Est” di Branduardi, ma è esattamente così (e in maniera ancor più complessa) che stanno le cose.

La tragica frana di pochissimi giorni fa ad Ischia, che ha seguito solo di poco più di due mesi la gravissima alluvione nelle Marche, evidenzia ancora una volta l’urgenza di prendersi cura del nostro ambiente sotto tutti i punti di vista.

Forse è sconfortante, forse ci sentiamo schiacciati, soverchiati dalla portata di queste preoccupazioni, ma non dobbiamo dimenticare che se siamo parte del problema, allora siamo anche parte della soluzione. La scienza, che si basa sul contributo instancabile di esseri umani, ci sta insegnando come prendere atto della realtà (ad esempio attraverso il calcolo dell’impronta idrica), ci sta indicando, aiutando e portando mano nella mano verso la soluzione: il rispetto dell’ambiente, l’economia circolare, l’integrazione dei servizi ecosistemici nella nostra amministrazione, l’utilizzo delle acque reflue (che non sono più rifiuto, ma risorsa), i piccoli gesti che possiamo compiere ogni giorno nel nostro piccolo, nel nostro quotidiano. Tutto è necessario, tutto è indispensabile per tutelare e risparmiare l’oro blu della Terra: siamo noi il salvadanaio.

 

Riferimenti

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