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Avviso per la generazione Greta

Resettare e riconfigurare il sistema

Valter Giuliano

Haeckel quando parla di scambi e ambienti nella situazione istantanea individua, di fatto, l’economia della natura.
Il concetto dell’evoluzione darwiniana aveva messo in crisi tutte le cosmogonie accettate, secondo cui un Dio onnipotente concepisce e regola l’Universo.
Il concetto di ecologia mette in crisi la situazione di metà Ottocento, quando l’Uomo, attraverso la scienza e la tecnologia, si illude di essere in grado di dominare il mondo e assicurargli un roseo avvenire. La Terra appare, unicamente, un terreno da sfruttare con il massimo dei rendimenti possibili - cosa consentita dall’esordio dell’industria chimica e della meccanizzazione agraria - in maniera inesorabile e illimitata.
L’ecologia sovverte queste radicate convinzioni, rompe queste certezze e introduce il concetto del finito, dunque di limite.
Subito la sua verità destabilizzante si fa pensiero sovversivo da combattere.
Consumismo ed ecologismo entrano in rotta di collisione: il primo è quello su cui si fonda il capitalismo liberale, la seconda ci avverte di una verità ingombrante che va al più presto rimossa.
Per farlo la si accusa di settarismo radicale o di ancoramento a un immaginifico sogno incapace di confrontarsi con la realtà economica e sociale.
Strategia che abbiamo constatato a partire dei primi anni Settanta quando gli allarmi degli ecologisti cominciarono a diffondersi ad ampio raggio.
Non ha funzionato del tutto, davanti alla evidenza della realtà.
Ecco allora fare la sua comparsa la tecnica, più raffinata, dell’inglobamento, con l’obiettivo di assorbire l’istanza ecologica e la sua possibile dirompente rivoluzione che si oppone al sistema produttivista cieco confidente dell’illusoria assenza di limiti.
Magicamente, fa il suo ingresso in campo il concetto di sviluppo sostenibile, per opporsi a crescita zero o, addirittura, alla decrescita, indicati dal tempo della ricerca del Massachusset Insitute of Tecnology con “I limiti della crescita” promosso dal Club di Roma di Aurelio Peccei, come uniche contromisure efficaci ad arrestare la corsa verso il suicidio dell’Umanità.
Compare “sostenibile” ma resta crescita, parola taumaturgica, mantra che continuiamo a sentire anche nelle situazioni in cui appare un gigante dalle fondamenta di fragile argilla.
La finzione si afferma con il sistema delle compravendita dei crediti ecologici, le compensazioni che, di fatto, sanciscono il diritto a continuare a inquinare.
Che si tratti di un raggiro ipocrita è piuttosto evidente.
Eppure, ecco che prende piede la green economy, altro inganno spesso camuffato in maniera subdola. Tutto diventa sostenibile, tutto, improvvisamente, come per magia, è green.
Le dinamiche economicistiche del produrre-vendere-consumare sono salve.
Anche l’ecologia è assorbita nello stritolante meccanismo liberale, funzionale alla massimizzazione di profitti che può continuare, indisturbato, nel saccheggio del Pianeta.
Fino a quando abuseranno della nostra credulità?
Che è di comodo, perché giustifica la nostra frattarietà al cambiamento, consentendo di cullarci in dimensioni di privilegio che si reggono sull’ingiustizia globale.
I cambiamenti climatici, che altro non sono che la manifestazione più evidente della crisi ambientale, chiamano in maniera naturale a difenderci contro l’unico vero nemico comune che minaccia tutte le comunità umane, senza distinzione alcuna, a livello globale.
É un nemico che sta dentro il sistema stesso e che ci sta portando, dritti dritti, al suicidio.
Che fare?
Viviamo tempi in cui siamo educati a un rassegnato e quieto servilismo, che tiene sotto controllo inquietudini e ribellioni, che toglie fiato anche alle opportunità di discussione sui modelli alternativi di società.
Se guardiamo all’arco dei partiti politici presenti in Parlamento, registriamo un appiattimento generalizzato e diventa davvero difficile scegliere sulla base di distinguo impercettibili che certo non prospettano idee diverse di futuro.
Le strategie della paura e del precariato hanno raggiunto il loro obiettivo, nelle scuole, nelle Università, nel mondo della ricerca, nelle istituzioni pubbliche: pensiero annullato, progressiva anestesia mentale dell’intera società.
Non si protesta, non si rischia, non si espongono idee diverse. Ha vinto il ricatto.
Anche la paura catastrofista della questione ambientale è strettamente legata a questa logica e diviene strumentale per assorbire ogni potenziale sovversivo presente nella società.
Che va invece nutrito nell’esercizio di una nuova visione del mondo, cui ci dobbiamo preparare se vogliamo assicurarci nuove prospettive di vita planetaria.
É ciò che ci propone Gilles Clement (L’Alternativa ambiente, Quodlibet, 2015) quando prospetta l’alternativa ambiente come terza via, l’unica possibile, tra green business e decrescita.
Dopo oltre mezzo secolo di presa di coscienza della crisi ecologica è tempo di dissociarsi dai parametri consueti con cui si avrebbe la pretesa di farvi fronte.
La domanda di fondo sul come far vivere la popolazione umana in crescita costate su un territorio finito è rimasta senza risposta e più si avvicina il tempo del non ritorno, più si manifesta la nostra impotenza e si fa spazio la rassegnazione.
É evidente – pena la sconfitta finale – che occorrono nuove modalità di gestione per poter governare il futuro.
L’unica maniera perché ciò possa accadere è guardare il Pianeta con occhi diversi, mutando radicalmente il paradigma.
Il sistema va resettato e riconfigurato.
Uscendo dal determinismo cartesiano per riprendere una visione animistica sia pure depurata dalla superstizione delle antiche civiltà e ricondotta alla conoscenze scientifiche.
Ciò sarà possibile in un sistema liberale capitalistico in cui le reali strategie appartengono non già alla politica, ma alle corporazioni e alle lobby che si sono ormai inserite nei gangli decisionali a causa di una politica sempre più debole per visione e per autorevolezza etica e morale?
La risposta è no.
Far tacere le lobby e la Borsa: ecco, secondo Clement, il lavoro di una futura generazione, capace di scegliere come affrontare davvero la crisi del Pianeta che è, ormai, una vera necessità.
Il treno della crescita senza limiti procede oramai ad alta velocità verso il baratro dell’esaurimento delle risorse che ne interromperà i binari.
Limite raggiunto, binari esauriti, fine corsa, schianto
C’è chi lo vorrebbe rallentare, chi chiede sia fermato, chi vorrebbe farlo andare in retromarcia, lentamente, per quella che è stata chiamata decrescita felice.
La possibile soluzione non sta in nessuna di queste due prospettive.
Il problema non è il treno che avanza a crescente velocità, né quello che inserisce la retromarcia.
Il problema reale è il treno.
Tra le due ipotesi di sviluppo bisogna promuoverne una terza che, tuttavia, non è data se non si cambia completamente il paradigma, cioè il treno.
Se si continua a ragionare con i parametri dell’ecologia radicale o della green economy che si prefigge solo di sostituire il business, non se ne verrà a capo.
E le rotaie, sia in un caso che nell’altro, inevitabilmente, un po’ prima o un po’ dopo finiranno...
La terza via l’ha indicata qualche anno fa l’acuta analisi del citato Gilles Clèment -docente all’Ecole Nationale Supèrieure du Paysage di Versailles - e l’ha chiamata “Alternativa ambiente”.
Si tratta della necessità di un progetto politico orientato dall’urgenza ecologica.
Attraverso un’alternativa ambientale che sperimenti innovative pratiche territoriali e sociali sostenute da una rivoluzione culturale che metta al primo posto la coscienza della nostra appartenenza planetaria in opposizione alla strategia delle paura.
Occorre ripartire da un percorso che ci conduca dal dominio sulla Natura al dialogo con essa attraverso un atto di scambio e di condivisione delle ricchezze.
Per fare ciò è indispensabile mettere a punto una riflessione che comporta la ridefinizione dei valori, la riqualificazione dei beni e degli usi, la loro disponibilità, la ripartizione che si sostituisca alla mera accumulazione nelle mani di una minoranza dominante.
Insomma, radicali cambiamenti che comportano come parametro di misura del benessere di una società non più il PIL ma il FIL (Felicità Interna Lorda).
Questo progetto di futuro, ecologista e umanista insieme, deve portare a cambiare il modello di cupidigia dei beni materiali e del loro consumo verso il benessere vero, per una gestione equilibrata ed ecologica del pianeta.
Ciò va auspicabilmente fatto non con sbocchi violenti dettati da un’emergenza in futuro sempre più stringente, ma con un movimento dolce, di sostituzione progressiva.
E necessita della condivisione di impresa, mercato e finanza, i soggetti che oggi decidono i nostri comportamenti e i nostri consumi, molto più della politica.
Forse andrebbe aggiunto il sistema della comunicazione.
La riconversione ecologica richiede tempi medio lunghi.
Anche se i tempi lunghi ce li siamo progressivamente bruciati, e non li abbiamo più a disposizione.
Per accelerarla va coinvolto anche il sistema monetario dominante - avverte Clement - che dovrebbe prevedere il passaggio alla cosiddetta moneta complementare che favorisce gli investimenti a lungo termine piuttosto che la speculazione immediata, uscendo dal vigente “modello di cupidigia”.
Un modello messo a punto da Bernard Lietaer e ispirato ad antiche consuetudini già adottate nell’antico Egitto

Qualcuno sorriderà, riversando la consueta accusa di luddismo e di ritorno al passato.
Ma la ricerca dell’innovazione ha spesso tratto spunto da elaborazione del passato recuperate e rivisitate in chiave moderna e soprattutto futuribile.
Assodato che i binari su cui ci stiamo muovendo portano verso la capitolazione (e ricordiamoci che Cassandra aveva ragione!) bisogna prendere atto che l’umanità deve prepararsi a scrivere una nuova visione del mondo che necessita di paradigmi radicalmente diversi da quelli dell’era industriale che ha sconvolto il mondo.
Forse sarà il caso che l’Uomo cominci ad attivare qualcun altro dei sette ottavi del suo cervello che oggi non utilizza.
«Il pensiero ecologista non dimostra soltanto come l’economia di gestione sia intimamante legata alla sopravvivenza della specie, alla qualità dei sostrati; non si limita a proporre uno sfruttamento razionale della diversità (il Giardino Planetario), che condiziona il nostro futuro, bensì svela la finitezza del nostro territorio, ed è a partire da questa rivoluzione che deve ridefinirsi l’interezza del progetto politico». Verso l’Uomo simbiotico.

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