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Ricordo di Laura Conti a cent’anni dalla nascita

GiVa

Il nome di Laura Conti evoca immediatamente la coraggiosa battaglia sul caso Seveso e la ricerca delle responsabilità di una delle prime tragedie ambientali di innegabile impronta industriale.
Una catastrofe annunciata che scoppiando consentì di alzare il velo di omertà e di accondiscendenza sino ad allora in atto sulle industrie ad alto rischio per il territorio circostante ma anche per chi vi lavorava.
Accadeva il 10 luglio 1972. Dalla Icmesa di Seveso una nube di diossina invade il territorio. Ma non era che l’ultimo caso. Prima la vicenda dell’Ipca, la fabbrica di coloranti all’anilina di Ciriè con i lavoratori colpiti da cancro alla vescica e quello della Val Bormida sacrificata sull’altare delle produzioni dell’Acna di Cengio. In seguito la Caffaro di Brescia e l’inquinamento da Pcb ,e le aziende del settore amianto dalla cava dell’Amiantifera a Balangero, alla Eternit, per citare solo i casi più clamorosi.
Trovo nel settore ambientalista della mia biblioteca tre libri affiancati di Laura Conti: Visto da Seveso, Una lepre con la faccia di bambina e Che cos’è l’ecologia. Poco prima, nell’ordine alfabetico c’è Virginio Bettini con Ecologia e lotte sociali,  poco oltre Raffaele Guariniello e il suo Se il lavoro uccide.
Laura Conti diventò nota al grande pubblico proprio per l’impegno profuso nella battaglia per stabilire le responsabilità del caso Icmesa che, alla fine di un lungo percorso, portò alla conquista della Direttiva Seveso del 1982 che impose agli Stati dell’Unione Europea di dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali. Una battaglia nella quale, tra gli altri, fu affiancata proprio da Bettini, docente di ecologia, che aveva studiato gli effetti della diossina in Vietnam, da cui scaturì il saggio a due mani con Barry Commoner sopra citato.
Laura era nata a Udine il 31 marzo 1921 (morirà a Milano il 24 maggio 1993); staffetta partigiana venne arrestata e fu internata nel campo di Bolzano; nel 1949 si laureò in medicina in Austria, poi si trasferì a Milano dove, insieme all’attività medica, iniziò la militanza nel Partito Comunista. Consigliere provinciale nel 1960 per un decennio, poi in Regione Lombardia per quello successivo, infine  deputata dal 1987 al 1992, si occupò di Seveso proprio in qualità di consigliera regionale.
Forte, allora, la sua denuncia «della mancanza di controlli pubblici contro lo strapotere degli interessi privati, dell’impotenza della pubblica amministrazione di un Paese, pur industriale e civile, come l’Italia, di fronte a un disastro ecologico imprevisto, ma non imprevedibile».
Sempre schierata sui diritti delle donne e alla salute, si impegnò contro le centrali nucleari, per una rigorosa gestione della caccia, per una agricoltura naturale, portando nel movimento ambientalista la coscienza dei temi del lavoro e della salute in fabbrica nella tradizione di movimenti e di riferimenti giornalistici da Medicina Democratica a Sapere.
A sorreggere la sua riflessione e la sua azione un rigoroso ambientalismo scientifico che ha profondamente contribuito ad affermare, attraverso una critica puntuale di quelle politiche che determinano conseguenze ambientali devastanti e impattano sulla vita delle persone.
Nota la sua polemica, in Parlamento, con i Verdi e con il mondo ambientalista, nel 1990, sulla questione dell’attività venatoria. Commentò così nel libro Discorso sulla caccia (1992): «Quello che mi stupì non fu il rozzo machiavellismo di politicanti di fresca nomina…ma piuttosto il fatto che le associazioni ambientaliste accettarono di farsene asservire, firmando annunci pagati dalle liste dei Verdi nei quali la proposta di legge veniva calunniata in perfetta malafede». E sui due modi opposti di vedere il mondo, con severità concluse: « i deputati Verdi, che avevano escogitato l’ostruzionismo, pensavano di imporre i propri principi etici con la furberia e con la violenza; sembrano persone miti e dolcissime, ma sono dei fanatici della Santa Inquisizione».
Laura apparteneva al filone di pensiero che intendeva dare all’ambientalismo una connotazione politica di sinistra, evitando ogni forma di buonismo ecumenico, e per questo arricchendolo di istanze egalitarie nella convinzione che non esistono problemi ambientali che non siano anche problemi sociali.
Un atteggiamento non solo fatto proprio da chi più propriamente proveniva dal pensiero socialista o  marxiano (Giorgio Nebbia, Dario Paccino, lo stesso Virginio Bettini...) ma che fu ben presente anche nella componente cattolica progressista come ad esempio nel presidente della Pro Natura di quegli anni Valerio Giacomini.
Naturale dunque incontrare Laura Conti nel nucleo dei fondatori, nel 1979, della Lega per l’Ambiente.
Così come averla protagonista nella critica alla non neutralità della scienza, al riduzionismo e alla “inevitabilità” del progresso. Interprete di un impegno che trovava il nucleo aggregante intorno alla rivista Sapere e al suo motore, Giulio Maccacaro.
Per questo fu in prima fila nella battaglia contro la pretesa superiorità e oggettività della scienza, una scienza «quintessenza astratta delle forze produttive». Seguendo Marcello Cini, la scienza e lo scienziato non hanno un ruolo al di sopra delle parti ma va invece dichiarato il contesto in cui ci si colloca, da che parte si sta: quella dell’ambiente e della salute. Non ammetteva, tuttavia, quella pretesa di “pensiero unico”, ancor oggi maggioritario, pur se non più unico, all’interno della comunità scientifica. In questo si trovò in contrasto nel suo stesso partito e verso il Sindacato, accecati entrambi dal credo nelle «magnifiche sorti e progressive» e la base riduzionista su cui poggiava. Peccato che la sinistra si è trascinato per decenni e che ancora oggi sembra avvinghiare la sua classe dirigente incapace di liberarsi da un acritico “sviluppismo” industrialista accecato dal mito della crescita senza limiti.
Una deriva che Laura non esitò a contrastare ricorrendo anche alla provocazione. Al punto che  arrivò a sostenere che in fin dei conti Malthus aveva ragione nei confronti di Marx. Questo colpo dritto al cuore della sinistra era portato per evocare la cultura del limite e cercare di fare breccia nel pensiero appiattito delle dirigenze politiche e sindacali ormai rassegnate all’imperante liberismo consumista.
E questa è una parte del messaggio e della testimonianza militante di Laura Conti su cui sarebbe opportuno ritornare a riflette con serietà e autocritica, proprio adesso, davanti all’urgenza di un radicale cambio di registro nella programmazione di un futuro possibile.
Per porci un altro dei suoi dubbi e dei suoi interrogativi: «Ci dobbiamo chiedere se è possibile salvare l’equilibrio vitale del pianeta, o almeno iniziare un’azione efficace in tale direzione, già all’interno del sistema capitalista, oppure se il sistema capitalista ci farà arrivare alla catastrofe…».
È lo stesso sistema che combatte il movimento ambientalista che chiede soluzioni serie –che non possono che essere radicali, a cominciare da quelle economiche, come solo Papa Francesco sa indicare – e che blandisce invece i “verdi ragionevoli” disponibili a essere normalizzati entrando a far parte dell’ordine internazionale dominato dal pensiero unico della prevalenza del profitto e del consumo, incompatibile con il futuro delle nostra specie.
Un ambientalismo di sistema per il quale va bene la transizione ecologica vuota di contenuti e un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che nulla cambia per il futuro delle prossime generazioni.
È da ciechi non rendersi conto che questo è il tempo dell’individuazione puntuale delle responsabilità precise e di soluzioni efficaci che proprio per questo non possono né essere rinviate, né essere condivise da tutti.
O pensiamo davvero che i ritmi di crescita economica di oggi basati sullo sfruttamento degli uomini e delle risorse, sulle diseguaglianze, sul mantenimento in situazioni di degrado e di ingiustizia sociale della maggior parte del mondo, possano perdurare senza scatenare tra le masse disperate pressioni migratorie, conflitti, rivolte e guerre da cui l’intera umanità non ha che da perdere?
Davvero pensiamo che il progresso tecnologico da solo risolva gli effetti dei cambiamenti climatici, della sovrappopolazione, delle migrazioni ambientali, della carenza di risorse naturali essenziali a cominciare dall’acqua, dell’effetto globale degli inquinamenti?
La transizione ecologica l’abbiamo ridotta a transizione digitale e tecnologica. Ci illudiamo possa metterci al riparo da questa allarmante prospettiva?
O, per chiudere ancora con le domande premonitrici di Laura Conti dovremmo porci questo ulteriore interrogativo: «Si potrà evitare che l’elettronica, coi suoi meravigliosi progressi, finisca col fare di ciascuno di noi un sorvegliato speciale?»

Nota
Valeria Fieramonte, a cento anni dalla nascita, ha dedicato a Laura un libro importante La vita di Laura Conti (Enciclopedia delle donne, 2021) in cui ha saputo raccontarci la vita di una interprete straordinaria del nostro tempo dalla scelta partigiana alla militanza ambientalista prima di tutto come medica poi di studiosa ricercatrice divulgatrice scrittrice, parlamentare. Come abbiamo cercato di sintetizzare, una vita segnata dalla passione e dall’impegno sviluppati con umanità e con  piglio battagliero dalla parte dei beni comuni a cominciare dalla salute pubblica.

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