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Consumi di pesce

Riccardo Graziano

Mangiare pesce fa bene. Ce lo dicevano sempre le nostre mamme. E medici e nutrizionisti lo confermano: è buona norma inserirlo nella dieta settimanalmente, anche più volte, per beneficiare dell’apporto di grassi polinsaturi e proteine nobili. Ma occorre prestare attenzione ad alcuni accorgimenti. Tutti sanno che il pesce deve essere fresco, ma non tutti sanno che anche i prodotti ittici hanno una loro stagionalità, come la frutta e la verdura, cosa della quale sarebbe bene tenere conto, per rispettare il mare e i suoi cicli biologici naturali. È consigliabile anche scegliere specie a ciclo vitale breve, perché tendenzialmente contengono meno contaminanti e metalli pesanti rispetto a quelle più longeve, che restano esposte agli agenti  inquinanti per più tempo. Discorso analogo per le specie ai vertici della catena alimentare, nelle quali possono accumularsi le sostanze nocive contenute nelle loro prede.

Queste sarebbero le norme da tenere a mente per tutelare la nostra salute e lo stesso ecosistema marino, ma le statistiche relative ai consumi disegnano una realtà differente. Lo rende noto una ricerca di Ismea presentata in occasione di Slow Fish, la manifestazione dedicata alle risorse ittiche organizzata da Slow Food. Secondo i dati presentati, nel 2018 il mercato ha subito una flessione del 2% rispetto all’anno precedente. Questo perché il pesce è tra i prodotti alimentari che risentono maggiormente delle oscillazioni del potere d’acquisto delle famiglie. Tuttavia, alcuni indicatori in controtendenza mettono in rilievo dei cambiamenti nelle scelte dei consumatori, come nel caso del salmone, specie di importazione fino a poco tempo fa considerata un genere di lusso che oggi invece è molto presente sulle nostre tavole, sia come prodotto fresco, sia inscatolato.
Anche la praticità di utilizzo detta le scelte dei consumatori che, oltre alle conserve alimentari, privilegiano i surgelati, in particolare filetti e bastoncini, rispetto al fresco, che è sceso al di sotto della metà come percentuale di mercato, perché ovviamente è più semplice e rapido acquistare un prodotto pronto da mettere in padella, piuttosto che uno da eviscerare, sfilettare eccetera. Altro elemento non trascurabile è che ormai l’80% degli acquisti avviene presso la Grande distribuzione, a scapito del commercio al dettaglio. Ma il dato forse più preoccupante è che nell’ultimo decennio continua a crescere la quota delle importazioni (principalmente di provenienza comunitaria, ma anche extra-europea) che nel 2018 ha raggiunto quota 1,35 milioni di tonnellate, per un controvalore di 5,9 miliardi di euro, circa un terzo in più rispetto a inizio decennio.

Questo quadro di analisi rispecchia, anche nel caso degli acquisti di pesce, la stessa tendenza al consumismo ormai presente in tutte le categorie merceologiche, comprese quelle alimentari. La scelta si orienta in base a prezzo, praticità d’uso, facile accessibilità e, naturalmente, indirizzi dettati da chi controlla il mercato. La qualità scivola in secondo piano, mentre la sostenibilità ambientale non viene nemmeno presa in considerazione.
Altrimenti non si spiegherebbe la crescita di un pesce come il salmone, un tempo raro e pregiato perché frutto della pesca negli impetuosi mari del nord, oggi dozzinale prodotto di allevamento, imbottito di antibiotici e nutrito con grandi quantità di pesce che potrebbe invece finire direttamente sulle nostre tavole: occorrono infatti circa cinque chili di pescato trasformato in mangime per ottenere un chilo di salmone. Uno spreco insostenibile, dal punto di vista ambientale, ma il comparto alimentare ormai ragiona in termini industriali e privilegia un prodotto a “più alto valore aggiunto”, come fosse un oggetto qualsiasi.
Una logica che non dovrebbe valere per il cibo che introduciamo nel nostro organismo. Siamo quello che mangiamo, rammenta un noto motto popolare. Dunque per vivere in salute dovremmo porre maggiore attenzione alla nostra dieta. E, così facendo, in maniera naturale e senza sforzo finiremmo anche per prenderci cura del pianeta, in grave crisi ecologica proprio a causa dei nostri stili di vita poco ecosostenibili e delle nostre scelte quotidiane troppo spesso errate.
Al contrario, un consumatore attento e consapevole è anche un ottimo custode dell’ambiente, oltre che, naturalmente, della propria salute e del proprio benessere.

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