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Continua l'imbroglio ecologico?

Riflessioni in occasione delle ripubblicazione del saggio di Dario Paccino

Valter Giuliano

L’inganno della transizione ecologica, incapace di assumere le decisioni drastiche che sono ormai necessarie e indifferibili, assomigliano sempre più a quello che Dario Paccino, nel 1972 definì, nel libro pubblicato da Einaudi, L’imbroglio ecologico. L’ideologia della natura.
Ieri come oggi il problema ambientale, da aggredire con urgenza per garantire la sopravvivenza della nostra specie – non del Pianeta, lui sopravvivrà benissimo – viene affrontato non alla radice ma nell’illusione che qualche leggero medicamento risolverà il problema.
Purtroppo non sarà così.
Rileggere il saggio di Dario Paccino (ripubblicato da Ombre corte, pp. 235, 20 euro, Introduzione di Gennaro Avallone, Lucia Giulia Fassini, Sirio Paccino) ci restituisce, tutto intero, senza infingimenti e scorciatoie, la realtà del problema.
L’ “ecologo inquieto”, come lo definì l’amico Giorgio Nebbia, parlò di imbroglio non perché la crisi ecologica non esistesse, ma perché nel cercare di occuparsene si evitava accuratamente di porre in evidenza le cause strutturali che l’hanno prodotta, vale a dire i rapporti sociali di produzione e di forza.
Se non si tengono in debito conto questi fattori, si finisce con il  trasformare l’ambientalismo «in un’ideologia che copre e fa scomparire sia lo sfruttamento del lavoro sia i processi di messa a profitto della natura».
Più tardi scriverà che «la scienza e la tecnologia, che stanno a fondamento dell’attuale mondo produttivo, non sono divinità che l’uomo ha rintracciato girovagando nei giardini del sapere. Si tratta di modelli che il dominio in generale, e il capitalismo in particolare, hanno prescelto in funzione del controllo e del profitto».
Dalla rilettura del testo e dall’esame della situazione attuale, emerge la necessità di un ecologismo conflittuale, anche se non dogmatico, ben diverso da quello accondiscendente delle maggiori associazioni ambientaliste. È tempo di tornare a denunciare, con forza, il nesso tra assetto capitalistico del lavoro, salute, nocività in fabbrica e degrado ambientale.
Dario Paccino si fece carico di mettere in avviso che il rispetto dell’uomo e della natura è strutturalmente incompatibile con il modello di sviluppo capitalistico, con un’economia di mercato che produce a prezzi sempre più bassi beni di consumo sempre meno utili e con una obsolescenza programmaticamente sempre più breve.
A volte forzata da esigenze come lasciare libere le frequenze alla nuova tecnologia del 5G che spinge, in queste settimane, a rottamare milioni di apparecchi televisivi a fronte di una scelta che è possibile ci esponga a rischi sanitari pubblici non ancora certificati. Alla faccia del principio di precauzione e del presunto e gridato rischio vaccini! Non dobbiamo infatti dimenticare il tentato blitz ( per ora fortunatamente andato a vuoto di Italia Viva per far salire di dieci volte gli attuali limiti per l’elettrosmog (da 6 V/m a 61 V/m) e spianare così la strada all’operatore Vodafone dalla cui dirigenza proviene l’attuale ministro alla transizione digitale, Vittorio Colao.
Dario Paccino ribadiva con forza che l’ecologia pensata e tradotta politicamente senza aver presenti i rapporti di produzione e di forza sociali, rappresentava ipso facto un imbroglio.
Segnalò i rischi di un uso ideologico e mistificato della natura per sostenere e affermare la necessità di un’ecologia conflittuale, finalizzata a costruire un rapporto equo ed armonico tra gli esseri umani, le organizzazioni sociali e la natura.
Inutile sottolineare l’attualità del suo messaggio, in epoca di pandemia e transizione ecologica balbettata senza conseguenti azioni; basti citare, ad esempio, il recente rinvio di plastic e sugar tax e la ripresa del lavoro delle trivelle, nei nostri mari, per la ricerca di idrocarburi...
Tutti la invocano, ma, nella realtà, tutti si industriano per sbarazzarsi dell’ecologia e delle scomode regole che indica, per lasciare libro corso alla crescita.
Per farlo – ce lo ribadiscono le dichiarazioni di autorevoli esponenti del mondo dell’impresa – si recita, con qualche minima variante, la formula magica «crescita, riequilibrio sociale, sostenibilità» nel tentativo, sin qui riuscito, di gettare polvere negli occhi per proseguire a perseguire ancora l’inganno. Indifferenti alla stessa gigantesca contraddizione che divide i concetti di crescita (senza limiti) e sostenibilità.
È la stessa logica delle quote di compensazione dei gas serra climalteranti. Monetizzabili, a sancire che si può continuare a inquinare: è sufficiente pagare.
La dinamica del green business è salva. Tanto più se si investe nel comunicare la bugia.
Anche l’ecologia può essere asservita al mercato, rientrare nelle dinamiche di commercializzazione del meccanismo liberale. L’ecologia può persino diventare la nuova morale del Capitale. L’imbroglio ecologico può,dunque, continuare.
Fino a quando?
Ancora per poco, perché ridurre la vita a valore di scambio, a denaro, a mercato è illusorio. Il denaro con cui misuriamo ogni cosa non rappresenta un valore; sotto il profilo ecologico è il nulla.
È pura finzione e dunque pilastro debole su cui si regge un sistema facile a sgretolarsi.
La coscienza planetaria in atto, che trae ispirazione dal movimento ecologista, è destinata a mettere a nudo il bluff e a scatenare conflitti sociali che non potranno più essere dominati dalla tradizionali tecniche della paura e della divisione. Perché l’umanità scoprirà che il vero nemico non arriva dall’esterno, ma è dentro se stessa, è dentro di noi e va ricercata, innanzitutto, in questa folle e suicida sfida all’ambiente naturale che ci sostiene.
La risposta non può più essere ricondotta verso il conflitto nei confronti dell’altro da sé. L’unica risposta è la pace, da perseguire all’interno della stessa società umana e con la Natura ricondotta alla sua reale dimensione di valore in sé.
Dario Paccino si domandava, cinquant’anni fa, se non fosse che proprio nell’ecologia avesse trovato rifugio il vecchio dio dei padroni.
Quasi un’anticipazione di problemi che si sarebbero proposti con forza decenni dopo richiamando l’attenzione sui rapporti tra esseri umani e mondo circostante.
Il suo grido coincide con l’esordio dell’ecologia politica che butta senza sconti nelle regole della Natura la nostra specie, presuntuosamente proclamatasi al di sopra di esse.
È tempo di tornare a riflettere sui rapporti capitale-natura-società. È tempo di riconsiderare il fatto, anticipato da Paccino, che per affrontare davvero la crisi ambientale – che oggi ha nei cambiamenti climatici la cartina al tornasole di tutta evidenza – occorra riconoscere sino in fondo le cause strutturali che l’hanno provocata. E su cui l’Autore ci mise in guardia.
Quali sono? I rapporti sociali di produzione e di forza e i processi di messa a profitto della Natura.
Gli stessi che oggi si tenta di procrastinare camuffandoli sotto espressioni come “capitale natura” o “servizi ecosistemici”.
La vera risposta dinanzi alla crisi, ieri come oggi, dovrebbe essere invece l’assunto che occorra naturalizzare l’uomo e umanizzare la natura.
Concetto sul quale proprio questa testata è sorta e che ebbe in Paccino il suo primo direttore.
Anche l’impegno contro il nucleare «energia padrona, delle multinazionali, quintessenza del capitalismo», (che oggi fa nuovamente capolino), energia del capitale, scienza del padrone, forza produttiva per l’accumulazione e la riproduzione del capitale, strumento per l’accrescimento del plusvalore basata sulla crescita espansiva, senza limiti, rappresentò per Dario Paccino un tema che ne assorbì molte risorse intellettuali e al quale dedicò numerosi lavori tra cui ricordiamo i saggi La trappola della scienza. Tutti vivi a Harrisburg (La Salamandra, Milano 1979), e il romanzo Il diario di un provocatore (I libri del no, Roma, 1977) da cui fu tratto il film L'uomo della guerra possibile con la regia di Romeo Costantini, segnalato al Festival di Venezia del 1984.
Alla scienza e alla tecnologia che stanno a fondamento dell’attuale modello produttivo (La Trappola della Scienza, La Salamandra, Milano 1978) viene contrapposta un’altra scienza, capace di dare all’uomo una tecnologia di liberazione che sostituisca l’attuale finalizzata all’asservimento e al potere che si regge sulle guerre.
L’ecologia del padrone mette in circolo ogni volta il ricatto dell’alternativa tra inquinamento e disoccupazione, a cominciare dal disastro di Donora in Pennsylvania del 1948, passando dalle numerose situazioni analoghe sino alla nostra Taranto. È tempo di dire basta ed è tempo che su questo cose anche il Sindacato si dia una mossa.
Dario Paccino non fu tenero neppure davanti al movimento ambientalista più paludato e dei Verdi.
Nella critica verso l’arrivismo istituzionale di questi ultimi (I Colonnelli Verdi e la fine della Storia, Pellicani, Roma 1990) ripropose la necessità di un passaggio «dall’eco imbroglio ad un concetto di ecologismo conflittuale» ammonendo che «laddove sono tutti d’accordo sui grandi temi ecologici non c’è dubbio che il padrone stia consumando un altro imbroglio».
Per sbarazzarsi dell’imbroglio ecologico non è sufficiente mandare via il padrone, cioè le forze sociali, economiche e politiche che sostengono i meccanismi socioeconomici e socioecologici vigenti. Non è sufficiente la rivoluzione secondo la definizione classica. È indispensabile ridefinire radicalmente i rapporti socioecologici partendo da un’ecologia conflittuale che si ponga l’obiettivo di salvare l’umanità, non il capitale.
Secondo questa affermazione l’azione riformista e istituzionale dell’attuale movimento ambientalista e delle sua (presunta) rappresentanza politica è del tutto inefficace e dunque inutile.
Sarebbe interessante poter conoscere il pensiero di Dario Paccino sulla più recente declinazione del movimento rappresentata dai giovani di Fridays for future e di Extinction Rebellion.
Ma anche delle posizioni forti di papa Francesco che, in fondo, ci richiama alla stessa radicalità a proposito di economia ed ecologia, e dei cambiamenti necessari a salvare il Creato, in contrasto con riconversioni ecologiche che abusano dell’aggettivazione.
Per porre fine all’imbroglio ecologico occorre cambiare paradigma e prendere atto che il responsabile dell’incipiente catastrofe ambientale non sono i cambiamenti climatici ma il sistema che li ha causati. Altro che resilienza!
La vera riconversione ecologica non può prescindere dai processi di produzione e dai conflitti sociali che comportano.
Ma perchè ciò accada la strada appare ancora molto lunga e siamo ben distanti dall’imboccarla, quando dovremmo essere già ben oltre la metà del percorso se avessimo prestato ascolto ai moniti di quegli anni Settanta.
Si continua con la politica dello struzzo e in particolare nel nostro Paese, dove la politica e l’informazione sembrano sordi a quello che è ormai un allarme mondiale condiviso.
L’ultimo rapporto dell’Iccp ha guadagnato la prima pagina su tutti i principali quotidiani del mondo. In Italia solo La Stampa e nei giorni successivi Presa diretta della Rai e Milena Gabanelli sulle pagine del Corriere della sera, hanno ripreso l’argomento. Viviamo in un contesto in cui siamo bombardati dalle notizie, spesso fuori controllo; ma siamo divenuti incapaci di trasformare le informazioni che riceviamo per assemblarle e decodificarle, trasformandole in reale conoscenza.
Davanti alla crisi ambientale i media si salvano la coscienza prestando attenzione all’ecologia di maniera, ben ancorata nel sistema dominante, che si accontenta del naturalismo estetizzante.
Non basta più, nel momento in cui ci stiamo dirigendo verso la sesta estinzione di massa, la prima causata dall’uomo.
Per porre rimedio alla profonda alterazione del pianeta c’è bisogno di un’ecologia integrale. È necessario che diamo il giusto posto all’economia che è tra l’etica e l’ecologia. La pagina dell’ecologia deve essere la stessa dell’economia. E agli economisti occorre far prendere atto che sul pianeta non si sfugge alla leggi della natura che ci sono note sin dai tempi di Darwin: a) la legge della crescita, secondo cui ogni specie vivente è destinata ad aumentare; b) la legge del limite, per cui la crescita non può essere infinita perché è il resto della natura a fermare l’eccessiva proliferazione di una singola specie.
Non si può applicare solo la prima.
Allo stesso modo dobbiamo comprendere che se il Pil aumenta questo va sempre a scapito di qualcos’altro. Allora nei conti dell’economia vanno riportati sempre i costi sociali e ambientali: altrimenti siamo di fronte a una truffa.
Sono altri i parametri che dobbiamo assumere se vogliamo davvero andare oltre dichiarazioni di principio, di cui siamo ormai stanchi, che non trovano radicamento nella vita.
Luigi Ciotti, prete di strada, fondatore del Gruppo Abele e di Libera e sulla base della Laudato si’ animatore dell’esperienza di CasaComune il cui motto è «Laudato si’, Laudato qui», ammonisce: «Le due facce della medaglia che si chiama vita sono la tutela ambientale e la giustizia sociale».
Una medaglia della vita che deve essere la stella polare che guida questo straordinario momento di investimenti finanziari per il rilancio post pandemico e la risposta al riscaldamento del pianeta.
Perché accada abbiamo bisogno più di una Comunità (nel senso stretto che la parola esprime) europea che di una Unione e più di una casa comune che di una cassa comune.

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