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Giorgio Nebbia: l’eredità dell’impegno e della speranza

Valter Giuliano

Si è spento a Roma lo scorso 4 luglio Giorgio Nebbia, ecologista, scienziato, divulgatore, già docente di merceologia all’Università di Bari (1959 – 1995).
Nato a Bologna nel 1926, fu parlamentare della Sinistra indipendente alla Camera (1983-1987) e al Senato (1987-1992). Ma anche Consigliere comunale a Massa Carrara al tempo del caso Farmoplant. Il suo impegno in campo ambientale lo vide, agli inizi, in prima linea contro le frodi alimentari, per la tutela dell’acqua e nella ricerca nel campo delle energie rinnovabili.
«All’inizio della carriera universitaria mi occupavo dei problemi dell’acqua e dell’energia. Il professor Ciusa mi incoraggiò a sperimentare dei distillatori solari, poi passai allo studio dei processi di dissalazione, ai problemi e alla difesa dell’acqua – bene economico scarso – dagli inquinamenti. Nel 1965 avevo dedicato una parte del corso di merceologia proprio a questi temi: acqua come “prodotto”, come merce e come servizio; su quei temi scrissi, nel 1965, un piccolo saggio, con una parte storica, poi ampliato in una nuova edizione apparsa nel 1969».
In seguito lo ritroviamo militante antinucleare dalla Puglia a Montaldo di Castro; sull’argomento fece parte della Commissione sulla sicurezza nucleare in cui, con altri due membri,votò contro la relazione conclusiva proponendone una di minoranza - che criticava la sicurezza delle attività nucleari e ne denunciava i rischi - poi presentata alla Conferenza nazionale di Venezia del gennaio 1980.
Tra gli altri impegni, la battaglia per la rinascita della Valle Bormida contro l’Acna di Cengio e per il referendum contro la caccia e i pesticidi del 1978.
Preziosa e singolare la sua analisi dei problemi ambientali, che iniziava sempre dalla personale specializzazione, i cicli produttivi, ognuno dei quali inevitabilmente produce scarti.
Per questo era scettico non solo sull’abuso del termine ecosostenibile, ma anche nei confronti della cosiddetta “economia circolare” e dell’ultima moda arrivata, la “decrescita felice”.
Sottolineò che il sistema tende ad adattarsi e «l’attenzione per l’ecologia declinò presto a nuovi aggettivi, più accattivanti; comparvero termini come “verde”, “sostenibile” e, più recentemente “biologico”, da associare al nome di prodotti commerciali che un venditore vuole dimostrare “buoni”».
Lamentò, per contro, come in tutti questi fermenti ci fosse poca attenzione al fatto che non si tratta di capricci, ma di necessità, legate ai fenomeni della vita e all’esistenza dei limiti fisici del pianeta Terra. E suggeriva a opinionisti e governanti qualche buona lettura di biologia ed ecologia per capire come soddisfare bisogni umani vitali, senza sfidare le leggi che la natura impone e che non possono essere violate.
«Le cause della crisi ambientale – inquinamenti e impoverimento delle riserve di risorse naturali – vanno cercate nella produzione di merci sbagliate con processi sbagliati. Ciò significa che ciascun ciclo merceologico lascia la natura impoverita e genera scorie solo in parte riutilizzabili. Rileggendo con un briciolo di attenzione il libro I limiti alla crescita del Club di Roma, del 1972, non si fa fatica a riconoscere che le equazioni di crescita e declino (di popolazione mondiale, produzione agricola e industriale, inquinamento) basate sulla “analisi dei sistemi” di Forrester, non sono altro che rielaborazioni dei principi che risalgono alla metà degli anni trenta del Novecento».
Nei primi anni Settanta, periodo che definì “La primavera dell’ecologia”, «fui invitato da Civiltà Cattolica a partecipare alla preparazione dell’intervento della Santa Sede alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, che si tenne a Stoccolma nel giugno 1972. Partecipai all’assise internazionale in rappresentanza della Santa Sede come membro laico».
Le sue esperienze, le sue idee i suoi progetti li condivise sempre grazie alla sua attività di divulgatore, collaborando prima alla pagina “Scienza e tecnica” del quotidiano Il Giorno, poi sulla Gazzetta del Mezzogiorno oltre che su diverse altre testate periodiche.
L’impegno si manifestò altresì con la militanza nel WWF, in Italia Nostra e anche nel direttivo della Federazione nazionale Pro Natura (1991-1995) e nel suo Comitato scientifico, dopo aver scritto sulle pagine di questa testata a partire dal periodo della direzione Dario Paccino.
Sul Bollettino di Italia Nostra (n.136/137) pubblicò, nel 1976, lo stimolante saggio Alla ricerca di una società neotecnica.
Il suo affetto verso il movimento ambientalista è ben testimoniato da un altro capitolo della sua ricerca, quello dedicato alla storia di tutti i soggetti nazionali, dalle grandi associazioni ai gruppi impegnati localmente su singole battaglie a difesa dell’ambiente, del paesaggio, dei centri storici, della salute. Ancora oggi gli debbo gratitudine per aver firmato la bella introduzione con la quale accolse con entusiasmo il volume La prima isola dell’arcipelago, in cui ricostruii la storia della Pro Natura.
La sua attenzione agli archivi ambientalisti, a cominciare da quello suo e della moglie Gabriella che lo ha sempre supportato nel lavoro (la ricordiamo traduttrice, nel 1972 del saggio La morte ecologica) ha trovato efficace risposta nella “Fondazione Luigi Micheletti. Centro di ricerca sull’età contenporanea”, di Brescia, che pubblica online l’interessante rivista Altronovecento: Ambiente Tecnica Società, nata proprio su impulso di Giorgio.
Questi, in sintesi, i tratti di una vita di grande impegno, di un amico che è stato un Maestro, una Guida, per tutti coloro che hanno creduto dovere morale spendersi per cercare di fermare la corsa suicida del genere umano verso la distruzione.
Comunanza di pensiero, condivisione di valori, obiettivi, interessi, hanno contrassegnato la nostra conoscenza. Cementata dalla passione politica.
Ci sarebbe oggi - senza l’impegno di Giorgio Nebbia e di tutti coloro che, cogliendone l’insegnamento, hanno deciso di impegnarsi nelle tante battaglie a difesa del territorio, per le aree protette, per la salute in fabbrica - un movimento come quello di Greta che sta mobilitando tanti giovani nella difesa del loro futuro?
Se oggi continua la battaglia per la riconciliazione tra Uomo e Natura e resta un filo di speranza perché non sia persa, forse un po’ lo si deve a chi, come Giorgio e la “generazione di Giorgio” dagli anni Sessanta è impegnato nell’impresa di convincere la società e la politica che alcune decisioni non sono a favore degli ambientalisti, ma dell’intera collettività.
L’impegno che profondiamo ogni giorno a favore dell’ambiente non è a vantaggio (dovrei usare la parola profitto?) nostro. Ci impegniamo e ci battiamo per il futuro comune e, soprattutto, di coloro che saranno dopo di noi.
Di questo Giorgio era ben cosciente.
Spiace che si resti in pochi a saper guardare lontano.
La presunzione arrogante delle specie umana viaggia, veloce, verso il capolinea.
Così facendo nessuno si potrà salvare.
E subiremo il destino che la nostra indifferenza ha scelto.
Il sostanziale disinteresse internazionale nei confronti del dramma ambientale, segnalato ormai con insistenza dalla spia rossa dei cambiamenti climatici, sta segnando il destino dell’Umanità e delle prossime generazioni.
A cominciare da quella di Greta, icona mediatica utilizzata e già, in parte, forse archiviata.
Perché seguire le sue indicazioni significherebbe sconvolgere il nostro sistema che camaleonticamente finge di adattarsi ridefinendo ogni azione come “ecosostenibile”.
La sostanza che emerge del suo condiviso pensiero è che per affrontare la crisi ambientale non sono più sufficienti piccoli correttivi.
L’esigenza è di un autentico radicale cambiamento che deve coinvolgere l’impianto generale su cui si regge la società degli umani.
Un totale cambio di orizzonte che sconvolge desideri, aspirazioni, ambizioni, prospettive.
Una rivoluzione antropologica in cui i valori materiali regrediscono per lasciare spazio a quelli della convivialità e del benessere non come ricorso a strutture e strumenti artificiali ma dello stare bene, in sintonia e in equilibrio tra psiche e corpo, tra se stessi e gli altri.
Giorgio non ha mai smesso di credere che questa prospettiva facesse parte del possibile, fino all’ultimo.
Il tributo migliore che gli possiamo fare è continuare a crederci.
Fino all’ultimo.

Note
1. Le citazioni sono tratte dal libro-intervista Non superare la soglia (Edizioni Gruppo Abele, 2016)
2. Per approfondire il pensiero di Giorgio Nebbia suggerisco di consultare: http://www.fondazionemicheletti.it/nebbia

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