Il ripristino della Natura
Giovanni Cordini
IL REGOLAMENTO 2024/1991 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO DEL 24 GIUGNO 2024 IMPEGNA GLI STATI DELL’UNIONE EUROPEA AD ATTUARE NORME PER IL “RIPRISTINO DEGLI ECOSISTEMI”: CONTENUTI E AMBITI DI APPLICAZIONE
Il Parlamento Europeo ha approvato, in via definitiva, il Regolamento 24 giugno 2024 n. 2024/1991 (in GUUE 24 luglio 2024) sul ripristino della natura. Da questa data gli Stati membri hanno l’obbligo giuridico di dare corso alle disposizioni contenute nel testo che si compone di 23 articoli. Sono varie le motivazioni che hanno indotto la Commissione Europea a sottoporre al Parlamento Europeo e al Consiglio questo progetto di regolamento avente per oggetto il ripristino della natura. Una prima evidenza rileva che la perdita di biodiversità e il conseguente degrado degli ecosistemi, nonostante le varie iniziative internazionali e gli impegni di numerosi Stati, risultano in aumento. Nella relazione che introduce la proposta la Commissione fa riferimento, in particolare: a) alla comunicazione della Commissione dell’11 dicembre 2019 dal titolo “Il Green Deal europeo”; b) alla Convenzione per la diversità biologica, di cui l’Unione e gli Stati sono parti; c) alla conferenza delle parti della convenzione sulla diversità biologica, tenutasi dal 7 al 19 dicembre 2022; d) agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite; e) alla strategia dell’Unione sulla biodiversità per il 2030 che stabilisce l’impegno a proteggere giuridicamente almeno il 30% della superficie terrestre, comprese le acque interne e il 30% dei mari dell’Unione. La salute degli ecosistemi viene ritenuta essenziale per il benessere collettivo in quanto gli ecosistemi forniscono alimenti e sicurezza alimentare, acqua pulita, pozzi di assorbimento del carbonio e protezione dalle catastrofi naturali provocate dai cambiamenti climatici. Il progetto, dunque, introduce misure dirette a ridurre lo sfruttamento dei sistemi naturali oltre le loro capacità di adattamento promuovendo, in ambito comunitario europeo, azioni dirette a meglio proteggere e rispristinare le aree naturali degradate per invertire la perdita di biodiversità. Adottando una proposta di regolamento la Commissione ha ritenuto necessario procedere entro termini ben definiti, predisponendo un atto giuridicamente vincolante. La Commissione, dunque, ha confermato l’indirizzo espresso dal Parlamento Europeo nella Risoluzione del 9 giugno 2021 riguardante le strategie europee per il 2030 in materia di biodiversità. Come è noto, infatti, il regolamento entra in vigore all’atto della definitiva approvazione e risulta vincolante per tutti gli Stati membri. Non posso avere, in questo primo commento riassuntivo, la pretesa di prospettare un esame esaustivo di un testo che si compone di ben 91 considerazioni introduttive 28 articoli e cinque corposi allegati. In questa sede propongo un primo sommario excursus di questo complesso atto giuridico europeo che dovrà trovare attuazione da parte degli Stati membri dell’Unione entro i termini a cui farò riferimento nella fase conclusiva di questa rassegna.
Il regolamento adottato dall’Unione Europea si inserisce nel ben più ampio quadro dell’azione ambientale comune delineata come Green Deal e, più specificamente, nell’ambito del “piano strategico per la biodiversità 2011-2020” ove sono delineate le azioni da intraprendere entro l’anno 2030 al fine di portare a zero la perdita di zone di maggiore importanza in termini di biodiversità, con particolare riferimento agli ecosistemi di elevata integrità ecologica. La conservazione, il ripristino e l’utilizzo sostenibile degli ecosistemi, a giudizio degli estensori del regolamento, risulterebbero indispensabili per conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile tracciati nell’ambito delle azioni promosse dalle Nazioni Unite. Di conseguenza l’azione comunitaria viene considerata coerente rispetto agli indirizzi globali approvati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La strategia europea sulla biodiversità intende garantire che non si verifichi un ulteriore deterioramento dello stato di conservazione degli habitat, prospettando un’adesione all’idea di “non regressione” prospettata dalla dottrina giuridica (Cfr. M. PRIEUR e G. SOZZO, Le principe de non règression en droit de l’environnement, Bruylant, Bruxelles, 2022; M. PRIEUR, L’émergence du principe de non régression ou l’illustration du rôle de la doctrine dans la crèation du droit de l’environnement in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’ambiente, 2021, 2, pagg. 19 e sgg). Per conseguire questi obiettivi, a giudizio degli estensori del regolamento, sarebbero necessari non solo vincoli e sanzioni ma anche impegni volti a ripristinare, gli ecosistemi degradati in tutto il territorio dell’Unione per assicurare, per quanto possibile, il recupero degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora selvatiche protette. La proposta, nelle considerazioni introduttive indica ampiamente tutti gli obiettivi che, mediante atti giuridici adottati in precedenza, nella forma di regolamenti e direttive, l’Unione ha indicato al fine di assicurare il sostegno comune alla politica ambientale europea. In ambito scientifico sembra opportuno valutare la relazione tra l’attuazione di un’efficace politica ambientale e le condizioni e modalità che possono giustificare gli interventi, sempre problematici e delicati, che agiscono su ecosistemi già degradati. Sarà bene tenere presente, inoltre, che i “considerando”, pur non avendo un’efficacia giuridica diretta, consentono di comprendere gli orientamenti e le finalità dell’atto giuridico e di valutare i confini entro cui opera l’azione comune messa in atto dalla Commissione e avvalorata dal Parlamento e dal Consiglio con l’approvazione definitiva del regolamento. Per gli specialisti, una adeguata lettura delle considerazioni introduttive, riesce, perciò, assai opportuna e può consentire di accertare anche le difficoltà, i limiti, i compromessi che si sono determinati nel processo formativo dell’atto al fine di conciliare ipotesi differenti, obiettivi interdipendenti e valutazioni difformi prospettate dagli Stati membri e dagli altri protagonisti del complesso procedimento necessario per rendere efficace un regolamento europeo. L’articolo 1 del regolamento 2024/1991 indica l’oggetto dell’atto normativo le cui norme devono contribuire: a) al recupero, a lungo termine e duraturo, della biodiversità e della resilienza degli ecosistemi in tutte le zone terrestri e marine degli Stati membri attraverso il ripristino degli ecosistemi degradati; 2) al conseguimento degli obiettivi generali dell’Unione in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento ai medesimi e neutralità in termini di degrado del suolo; c) ad una maggiore sicurezza alimentare; d) all’adempimento degli impegni internazionali dell’Unione. L’atto ha un vasto ambito di applicazione definito dagli articoli da 4 a 12: a) ecosistemi terrestri, costieri e di acqua dolce; b) ecosistemi marini; c) energia da fonti rinnovabili; d) difesa nazionale (delimitazione delle esenzioni); e) ecosistemi urbani; f) ripristino della connettività naturale dei fiumi e delle funzioni naturali delle relative pianure alluvionali; g) ripristino delle popolazioni di impollinatori; h) ripristino degli ecosistemi agricoli; i) ripristino degli ecosistemi forestali; l) messa a dimora di tre miliardi di nuovi alberi. Per la realizzazione di questi obiettivi l’articolo 14 impegna gli Stati membri dell’Unione a predisporre “un piano nazionale di ripristino, quantificando la superficie che dovrà essere ripristinata per conseguire gli obiettivi tracciati dal regolamento”. Gli Stati membri dovranno presentare alla Commissione Europea il “progetto di piano nazionale di ripristino” entro il 1° settembre 2026. La Commissione, entro sei mesi dalla presentazione del piano nazionale dovrà valutare, in collaborazione con il rispettivo Stato membro, i contenuti e le indicazioni del piano nazionale. Lo Stato membro dovrà tenere conto delle osservazioni presentate dalla Commissione e sarà tenuto a predisporre il piano definitivo entro sei mesi dal ricevimento di tali osservazioni. Il regolamento, dunque, indica, con precisione, i termini entro i quali gli Stati devono dare attuazione agli obblighi normativi che ne conseguono, in quanto atto giuridico direttamente applicabile sin dal momento della sua approvazione. Il regolamento, infine, dispone che gli Stati membri debbano effettuare un riesame del piano nazionale di ripristino entro il 30 giugno 2032 e, successivamente, almeno una volta ogni dieci anni. La Commissione dovrà effettuare un primo complessivo riesame del regolamento sui settori agricolo, forestale e della pesca entro il 31 dicembre 2033.
Come per la gran parte degli atti normativi relativi all’ambiente anche questo regolamento contiene un cospicuo e corposo insieme di “allegati tecnico-scientifici” che non sarà possibile trattare in questo contesto. Merita, tuttavia, in questa fase conclusiva della essenziale rassegna qui prospettata, fornire qualche indicazione relativa al contenuto di questi allegati. In essi vengono esaminati, in dettaglio, i tipi di habitat per i quali, gli Stati membri, devono indicare, nel rispettivo piano nazionale, le misure specifiche di ripristino che intendono adottare e i risultati che si propongono di conseguire: a) ecosistemi terrestri, costieri e di acqua dolce (all. 1); b) ecosistemi marini (all. 2); c) specie marine (all. 3); d) indicatori di biodiversità per gli ecosistemi agricoli, (all. 4); e) avifauna in habitat agricolo a livello nazionale, (all. 5); f) indicatori di biodiversità per gli ecosistemi forestali (all. 6).