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Mammiferi a rischio estinzione in Italia: il caso particolare della lince eurasiatica (Lynx lynx)

Paolo Molinari
Progetto Lince Italia – c/o Dipartimento di Scienze Veterinarie - Università di Torino
IUCN Cat Specialist Group

Il livello di biodiversità in Italia è notevole. Le specie sono molte e una percentuale importante (intorno al 10%) è addirittura endemica. Un’ampia varietà di questi animali è tuttavia soggetta a minacce concrete. Anche le specie in pericolo di estinzione non sono poche e riguardano anche i mammiferi del nostro paese. Da poco il Ministero dell’Ambiente e Federparchi hanno presentato le "liste rosse" di animali e vegetali in pericolo.Sono ben 161 le specie di animali vertebrati a rischio di estinzione secondo questa classifica in Italia. Tra i mammiferi i più numerosi l’ordine dei chirotteri, noti come pipistrelli. Tra i più eclatanti è menzionato l’orso bruno marsicano (Ursus arctos mariscanus). Discutibili diverse delle classificazioni, che appaiono spesso soggettive, frutto di scarse conoscenze (scarso o assente monitoraggio) o addirittura della semplice sconsiderazione delle conoscenze note. Ma nulla è perfetto, non è facile restare al passo e questa “lista” va considerata come un importante sforzo e un primo inizio su cui lavorare.

Al di là della lista, tra le specie che molti esperti definiscono a forte rischio, diverse sono quelle alpine, vittime soprattutto dei veloci cambiamenti climatici. Dalla lepre variabile (Lepus timidus), all’arvicola delle nevi (Chionomis nivalis) e all’ermellino (Mustela erminea); tra le specie diffuse anche in altri ambienti invece la donnola (Mustela nivalis) e la puzzola (Mustela putorius), o l’endemico scoiattolo nero meridionale (Sciurus meridionalis), per citarne solo alcuni tra quelli che però nella lista IUCN Italia sono considerati semplicemente come LC – Least Concern – ovvero con “minima preoccupazione”.

Quali le cause principali che portano a minacciare o addirittura al rischio di estinzione queste specie?
Perdita e distruzione degli habitat e il frazionamento degli stessi, inquinamento, commercio illegale, bracconaggio e cambiamenti climatici. Ma anche concorrenza con specie aliene invasive e cause indirette come il calo generale degli insetti o degli anfibi, intesi come fonte di cibo per alcune delle specie.

Come interpretare le classificazioni e i diversi livelli di minaccia, fino a quello di estinzione?
È importante fare chiarezza. Quando parliamo di specie minacciate o a rischio di estinzione, dobbiamo sempre specificare se si tratta di una considerazione globale o regionale, locale. Se riguarda la specie in genere, solo alcune popolazioni o nuclei isolati di esse. Una minaccia o una estinzione regionale/locale può essere anche un fenomeno temporaneo. Una situazione locale di scomparsa, percepita come estinzione, può essere considerata in chiave ecologica (a posteriori, dopo nuovi sviluppi), anche come un semplice periodo di assenza per restringimento provvisorio dell’areale di diffusione, causato da diverse delle ragioni sopra elencate. Per esempio, il caso del lupo in Appennino e nelle Alpi o dell’orso bruno nelle Alpi orientali italiane. Una minaccia può essere invece solo momentanea, ma poi rientrare per il miglioramento delle condizioni generali. Per dare il giusto peso alle diverse situazioni è pertanto necessario tenere conto di questi differenti fattori.

I criteri IUCN proprio per questo prevedono che a livello regionale è necessario una analisi più puntuale per decidere se la valutazione basata sui criteri generali necessiti di una correzione. Nel caso in cui una popolazione valutata a livello nazionale o regionale (locale) non abbia scambi con altre popolazioni al di fuori della regione considerata, la valutazione basata sui criteri globali risulterà corretta. Se invece si tratta solo di una parte di popolazione, la cui popolazione “sorgente” si trova in un altro stato, la valutazione potrebbe essere troppo pessimista o troppo ottimista. Nel caso in cui la popolazione sorgente sia stabile, infatti, la popolazione nazionale continuerà a ricevere l’apporto di individui dall’esterno, e il suo rischio di estinzione effettivo sarà più basso di quello stimato in base ai criteri. Se al contrario anche la popolazione sorgente è in declino, è possibile che in futuro non apporterà più individui alla popolazione nazionale. In questo caso il rischio di estinzione effettivo della popolazione nazionale sarà più alto di quello stimato in base ai criteri. Pertanto, la valutazione di rischio deve sempre tenere conto di queste considerazioni.

Valutazioni biologiche versus valutazioni politiche
È importante che le valutazioni biologiche sullo status delle specie e delle popolazioni siano fatte a livello di popolazione e su base biogeografica – ha poco senso farlo in considerazione dei confini amministrativi, politici e su base nazionale. Ma quando si parla di politiche e strategie di salvaguardia, di responsabilità nazionali, allora è importante fare anche una valutazione su livello nazionale. L’equilibrio tra le due varianti sarebbe l’approccio certamente più saggio e più proficuo per attente ed efficaci strategie di conservazione.

Una curiosità: le classificazioni IUCN e la lince eurasiatica
La lince eurasiatica è considerata oggi la specie di mammifero più rara del panorama faunistico nazionale. Parliamo di meno di 10 individui presenti sul territorio nazionale. In una tra le più importanti leggi nazionali che trattano la materia della gestione e conservazione della fauna, la 157 del 1992 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma), come in tutte le direttive comunitarie recepite in Italia è considerata come specie autoctona, degna di particolare tutela. Tuttavia nella nuova lista IUCN italiana (Lista Rossa IUCN dei vertebrati italiani), la specie lince compare addirittura nella categoria denominata “Non applicabile (NA)”. La definizione secondo le Linee Guida per l’Applicazione delle Categorie e Criteri IUCN a livello regionale è quindi quella di una “Categoria per un taxon ritenuto trascurabile ai fini della valutazione a livello regionale”. Qui sarebbe interessante capire cosa mai si sia inteso con la definizione “trascurabile”...

Sarà pure che dopo l’eradicazione è stata reintrodotta (come in tutti gli altri paesi alpini e mitteleuropei), ma la lince è pur sempre specie autoctona e gli esemplari utilizzati per i ripopolamenti sono tutti di origine carpatica, ovvero una popolazione che ancora meno di 200 anni fa viveva in continuità ecologica con le nostre linci originarie. La lince sarebbe “trascurabile” quindi solo perché compare in numeri bassi e in maniera discontinua? Non sarebbe più saggio e corretto, ragionando in termini ecologici e non troppo burocratici, riconoscere questa specie come parte del nostro patrimonio faunistico tra le specie severamente minacciate? Una inappropriata definizione potrebbe provocare disattenzione da parte delle istituzioni, con risvolti pesanti per la sua conservazione!

La lince nell’immaginario collettivo nazionale
Non solo tra i comuni cittadini, ma apparentemente anche tra gli scienziati la lince sembra rivestire ancora un ruolo subordinato – o perlomeno, viene percepita come specie “minore”. Maurizio Menicucci, noto giornalista scientifico di lei ha scritto: - “Avvistarla in natura non è mai stato facile, nemmeno in passato. A parte il mitico lincurio, una sorta di ambra dai mille pregi che si credeva derivasse dalla sua orina solidificata, non ha lasciato negli antichi bestiari le stesse tracce dell’orso, o del lupo, con il quale veniva confusa nel Medioevo, come indica il sinonimo di Lupo Cerviero.” E nonostante compaia come prima delle tre fiere incontrate da Dante nella selva oscura, nel Canto I dell'Inferno nella Divina Commedia (la lonza) o rappresenti il simbolo dell’Accademia dei Lincei, in Italia rimane “questa sconosciuta” e il peso relativo riconosciutole è conseguente. L’impressione è che sia trattata da tutti in maniera un po’ spiccia. Questa indifferenza o scarsa attenzione, difficile definire la considerazione che suscita, non facilita la lotta per la sua conservazione, che passa intanto dalla lotta contro una sua seconda estinzione a livello nazionale.

Scomparsa e ricomparsa
Il declino della lince in Italia e nelle Alpi iniziò già nel XIX, per completarsi agli inizi del XX secolo. Scomparì da tutto il Mitteleuropa. La ricomparsa avvenne negli anni 80 del secolo scorso grazie a progetti di reintroduzione effettuati in diversi paesi alpini. Quelli coronati dal miglior successo furono quello svizzero e quello sloveno, da cui poi alcuni individui sono immigrati spontaneamente. La lince eurasiatica invece non è mai stata presente nella parte peninsulare del nostro paese, in Appennino. Lì viveva un’altra specie, Lynx issiodorensis, scomparsa tuttavia già nel Pleistocene per cause non note.

Una seconda ricomparsa, per così dire, è quella che lentamente sta accadendo in questi ultimi anni in diverse parti dell’arco alpino italiano. In Val d’Aosta, Piemonte, Lombardia e anche Alto Adige si ripetono avvistamenti documentati di animali che si affacciano sul versante italiano delle Alpi. Si tratta perlopiù di giovani individui in dispersione della popolazione svizzera. Generalmente sono apparizioni timide e temporanee, ma è solo questione di tempo, che un individuo stabilirà in via definitiva il suo territorio anche in Italia. Meno di una decina i casi registrati nell’ultimo decennio, ma il trend è positivo.

Il caso “Lince Italia” - il rischio di una seconda estinzione e gli sforzi per la sua conservazione
Indipendentemente dalle classificazioni e dalle valutazioni sullo status della lince – la situazione italiana è semplice da riassumere. La presenza moderna del grande felino nel nostro territorio inizia dalla fine degli anni millenovecentosettanta – in maniera continuativa nelle estreme Alpi sud-orientali del Friuli Venezia Giulia (Tarvisiano) dal 1986. Due i nuclei che si erano formati. Uno nei Lagorai (TN), dove tra il 1989 ed il 1997 era presente un esiguo numero di individui di probabile origine svizzera e che poi si è nuovamente spento un solo decennio dopo. Un secondo nelle Alpi Carniche e Giulie del Tarvisiano, con una prima comparsa documentata nel 1979, che si è mantenuto fino ai giorni nostri. Il momento migliore è situato alla fine del XX secolo, con la specie ben radicata sul territorio e in espansione. Frutto delle buone condizioni in cui allora versava la popolazione sorgente, ovvero quella dei Monti Dinarici a cavallo tra Slovenia e Croazia e il cui nucleo alpino poteva considerarsi la sua espansione nord-occidentale.

Poi a partire dagli anni 2.000 – 2.002 i monitoraggi effettuati in Slovenia, Austria e Italia rilevavano tutti un’inversione di trend e un calo, sempre più evidente, che si è protratto sino ai giorni nostri. Subito erano iniziate le indagini per identificarne le cause – e dato che dei sospetti c’erano, sono state presto identificate. Ricercatori sloveni e croati hanno potuto evidenziare una depressione da consanguineità. L'analisi di 204 campioni mostrava una bassa variabilità genetica e un notevole livello di consanguineità con valori distanti da quelli della popolazione di origine dei Carpazi. Gli effetti più devastanti di questo problema consistevano in una forte riduzione del tasso di fertilità. All’origine del problema, un numero troppo esiguo di animali fondatori della nuova popolazione.

Analisi effettuate con l’aiuto di modelli matematici mostravano il concreto rischio di una seconda estinzione della specie. Una sola la soluzione: - un rinforzo numerico e genetico della popolazione in crisi con nuovi soggetti di origine carpatica, in grado di rinfrescare geneticamente la popolazione sofferente.

Il Progetto ULyCA (Urgent Lynx Conservation Action)
Note le cause, i primi a reagire sono stati gli italiani. Una cordata formata dal Corpo Forestale dello Stato, la Regione Friuli Venezia Giulia e il Progetto Lince Italia (un gruppo di esperti riunito in una associazione di ricerca con sede all’Università di Torino), per salvare l’ultimo nucleo presente sul territorio italiano e contribuire a un miglioramento delle condizioni dell’intera popolazione presente nei Monti Dinarici e nelle Alpi Sud-Orientali, hanno dato vita a un progetto urgente di rinforzo numerico e genetico del nucleo Tarvisiano. Per la realizzazione di questo progetto, insieme alle procedure amministrative e alla documentazione legale era necessario anche una cosiddetta “azione sociale”. Quell’iter fatto di informazione, comunicazione e coinvolgimento dei portatori di interesse e della cittadinanza in genere. Nei tempi record (per l’Italia) di un anno il progetto fu approvato ed iniziò la fase operativa che portò alla reintroduzione di due individui, un maschio e una femmina di origine svizzera ed il cui profilo genetico appariva idoneo. Nell’aprile del 2014 i due animali sono stati liberati nel cuore della Foresta di Tarvisio, dove vivevano gli ultimi tre individui delle Alpi italiane, progenie degli animali reintrodotti negli anni 1973 – 1977 in Slovenia e rispettivamente in Austria. E in contatto con le ultime linci delle Alpi Giulie e dei Monti Dinarici sloveni. L’effetto fu immediato, ancora nello stesso anno la femmina svizzera partorì due cuccioli. Ma il buon risultato fu limitato nel tempo. Il maschio, i confini nazionali in questo territorio sono vicini, si spostò in territorio austriaco e fu bracconato. Il momentaneo irrobustimento del nucleo fu di breve durata ed evidenziò la necessità di ulteriori azioni, più grandi e di respiro internazionale.

Prevenire l’estinzione della lince nei Monti Dinarici e nelle Alpi Sud-Orientali con misure di rinforzo e conservazione: - la storia di Life Lynx
Compresi i limiti di un progetto nazionale e locale, la comunità di esperti si mise al lavoro e con l’impulso dei ricercatori italiani nacque un gruppo di lavoro che diede vita ad uno dei più lunghi e complessi progetti LIFE. Un consorzio di 5 paesi con il comune intento di prevenire una seconda estinzione della specie nell’areale dinarico e sud-est alpino. Slovenia, Croazia e Italia come cosiddetti “paesi riceventi” e Slovacchia e Romania come “paesi donatori” di lince. In tutto 11 partner, 10 organizzazioni di supporto e 6 tra organizzazioni ed enti cofinanziatori; coordinatore del progetto il Servizio Forestale di Stato della Slovenia – partner italiani il CUFAA (Comando Unità Forestale, Ambientale e Agroalimentare – per semplificare i Carabinieri Forestali) e il Progetto Lince Italia. Un progetto suddiviso in 7 azioni e quindi in 35 differenti attività subordinate e dedicate a tutte le esigenze e problematiche connesse al tema della conservazione della lince. Dalle azioni di “public awareness”, di informazione e comunicazione del pubblico, al coinvolgimento dei portatori di interesse, dalle azioni antibracconaggio alla collaborazione con i cacciatori, dalla ricerca di campo alla redazione di pubblicazioni tecnico-scientifiche e documenti pubblici (piani di gestione), dal monitoraggio, alla cattura e al rilascio degli individui. Un progetto impegnativo, ma la cui ampiezza di intervento era necessaria per non lasciare nulla al caso.

L’obiettivo di base era rappresentato dal rilascio di individui che rinforzassero numericamente e geneticamente la popolazione in declino e in sofferenza dei Monti Dinarici e delle Alpi Sud-orientali. 12 gli animali rilasciati nei Monti Dinarici e 6 quelli nelle Alpi Giulie Slovene. Già nel secondo anno dopo i rilasci sono avvenute le prime perdite (accidentali, bracconaggio), ma anche le prime riproduzioni. Oltre una dozzina nel settore dinarico e ben nove nell’area alpina. Un fattivo apporto a una popolazione in difficoltà.

Il Progetto ULyCA2
E in Italia? In Italia è stato necessario affrontare un problema supplementare. La fase più delicata di programmazione del progetto LIFE Lynx coincideva con l’assorbimento del Corpo Forestale dello Stato nell’Arma dei Carabinieri, provocando una fase di stallo in cui l’amministrazione italiana non è stata in grado di prendere certe decisioni e siglare accordi. Tra questi quelli con i paesi donatori per la fornitura delle linci da rilasciare sul territorio nazionale. È stato pertanto necessario creare un progetto ad hoc – esterno ma strettamente coordinato con – e integrato nel LIFE Lynx, che consentisse di coprire questa lacuna. Nasce così il progetto ULyCA2 – un consorzio tra i neocostituiti Carabinieri Forestali, la Regione Friuli Venezia Giulia e il Progetto Lince Italia.

Nonostante le premesse e il lavoro preparatorio del LIFE Lynx, un progetto davvero complesso, soprattutto per la particolarmente macchinosa burocrazia italiana e il contesto sociale particolarmente variegato. La chiave di volta un attento lavoro di coinvolgimento delle parti, che alla fine è stato premiato con la partecipazione dei più diversi portatori di interesse, in primis il mondo venatorio (una associazione delle principali federazioni ed associazioni venatorie) e il WWF, che ha anche sostenuto finanziariamente l’operazione. Un lavoro certosino ed estenuante di coinvolgimento delle parti, di comunicazione ed informazione, di mediazione tra i diversi stakeholder, con ideologie che spesso si trovavano su fronti opposti.

Il risultato è stata l’approvazione del progetto per la ricostituzione di un nuovo nucleo anche nelle Alpi Giulie italiane. Così in Foresta di Tarvisio tra marzo e giugno 2023 sono stati liberati 5 individui. Due femmine di origine Svizzera (catena del Giura), un maschio e una femmina provenienti dai Carpazi rumeni e un maschio di origine dinarica (Croazia), creando un mix genetico perfetto per contrastare le problematiche che avevano portato, in primis, al degrado della popolazione.

Stepping stone Tarvisiano
Perché tutti questi sforzi convogliavano proprio nel Tarvisiano? Le ragioni sono diverse. Innanzitutto la biogeografia del territorio, davvero speciale ed unica per l’Italia e l’intero arco alpino. Dove scemano le Alpi Sud-orientali per incontrare i Monti Dinarici (e poi in continuità i Balcani), si incontrano tre catene montuose minori. Le Alpi Carniche, le Alpi Giulie e le Caravanche. Sulla Sella di Camporosso, nel cuore della Foresta di Tarvisio, si trova uno dei più importanti spartiacque. Ad ovest tutte le acque confluiscono nel bacino del Tagliamento e sfociano nel Mar Adriatico, ad est nel Bacino della Drava, quindi Danubio, per finire nel Mar Nero. Si tratta di uno dei più importanti corridoi faunistici delle Alpi. Da qui in passato sono rientrati in Italia specie come il cervo e l’orso bruno, più tardi la lontra e il gatto selvatico e infine anche il castoro.

Altri punti favorevoli per la scelta del territorio sono la buona presenza di prede, il fatto che negli anni ‘1980 le linci sono immigrate spontaneamente in Italia proprio qui, il fatto che si tratta di un’area ben gestita e protetta da una foresta demaniale e diverse zone SIC e ZPS, ma anche perché attentamente monitorata da oltre 30 anni, garantendo un ottimo controllo degli sviluppi delle dinamiche faunistiche, lince e attività di salvaguardia in primis.

Per tutte queste ragioni il Tarvisiano è stato quindi scelto come ideale “territorio passerella” tra la popolazione di lince dinarica e quella delle Alpi occidentali in Svizzera. Tecnicamente queste zone vengono chiamate “stepping stone”. Nella strategia generale di conservazione della lince perseguita nel progetto superordinato LIFE Lynx e per rafforzare l’azione, si è optato per costituire due di queste passerelle – entrambe nelle Alpi Giulie – una in Slovenia e una in Italia.

La dimensione umana
La Human Dimension in queste operazioni è ormai divenuta uno dei tasselli strategici più importanti. Non solo perché il coinvolgimento delle parti interessate, pubbliche ma anche no, è importante, ma anche perché nei tempi in cui viviamo ed in cui la circolazione di informazioni ha subito delle accelerazioni folli, è importante informare il più possibile. Volutamente non diciamo informare “tutti”, perché è impossibile. Ma il numero maggiore di categorie e persone possibile. Cosa non facile, vista la bulimia informativa di cui troppi ormai sono vittima. Leggere acriticamente tutto ciò che capita a tiro, comprese le opinioni vomitate sui social media da perfetti ignoranti, ma con la morbosa volontà di dire la propria di un argomento di cui conoscono troppo poco, è uno dei mali da contrastare con una politica informativa più lenta e ragionata. Sfida enorme! Non è possibile e non è nelle corde rispondere a tutti coloro che si rivolgono a noi attraverso i vari canali di informazione. Si cerca di informare il più possibile, con il supporto di esperti in materia - di sociologia, informazione e comunicazione, ma si potrebbe fare ancora di più. Nel progetto LIFE Lynx e soprattutto in ULyCA2 abbiamo posto molta attenzione a questi fenomeni e soprattutto a coinvolgere in maniera trasparente e costruttiva le categorie più interessate dal ritorno della lince. Per capire meglio la percezione e le preoccupazioni del pubblico, abbiamo fatto fare dei sondaggi, naturalmente a ditte professioniste ed indipendenti. I risultati sono stati utilissimi a capire i problemi e calibrare le azioni. Alla fine, il fatto di poter annoverare tra i partner del progetto il mondo venatorio e il WWF, insieme per lo stesso obiettivo, credo possa essere considerata già una piccola conquista.

Sempre Menicucci, giornalista scientifico e attento osservatore di quanto accade nel panorama della gestione faunistica in Italia in proposito ha scritto: - “Reintrodurre una specie come la lince è tutt’altro che semplice. Al contrario di quanto si pensava pochi anni fa, e questo spiega i numerosi fallimenti, la reimmissione di un selvatico non è un inizio, ma un esito. Viene dopo un lungo percorso, scientifico e politico, che comporta complessi accordi per lo scambio di animali, e controlli di veterinari, esperti ed enti faunistici.
Esige, soprattutto, il consenso convinto delle tante parti coinvolte: allevatori, agricoltori, enti turistici, associazioni ambientaliste, naturalisti, enti di tutela. Le preoccupazioni suscitate dal ritorno di un altro superpredatore sono diffuse”.

Best practice
Piace dirlo in inglese, molti hanno la percezione che si tratti così di qualcosa di più importante. Ma alla fine parliamo di una semplice buona pratica, ovvero un’esperienza che ha permesso di ottenere risultati eccellenti in un determinato ambito e che può fungere da esempio.

Il caso delle azioni attive di conservazione della lince eurasiatica, progetti LIFE Lynx e ULyCA possono essere presi in Italia certamente come buon esempio. Per il modo in cui tutto è stato programmato, per la tempistica (breve, anche se a monte ci sono decenni di esperienza e dati e informazioni) e per i costi (incredibilmente bassi rispetto a progetti mastodontici che divorano parcelle smisurate per consulenze... diciamo discutibili). Ma anche per la serietà, per fede alla deontologia ed etica professionale. Non mancano purtroppo esempi opposti, si pensi soltanto alla storia del ritorno del castoro in Appennino. Dove tutto è avvenuto nella perfetta clandestinità e ora viene scontato, ridotto e declassato a una birichinata... o come risultante del fato. La legge lo definirebbe probabilmente come atto di “ignoranza inevitabile”, ovvero la risultante di una situazione di ignoranza assolutamente eccezionale in cui versi il soggetto agente. Comunque sia, inquietante il silenzio delle istituzioni.

La complessità dell’operazione lince – in chiave socio-politica, amministrativa, biologica ed ecologica, per la necessità di operare in maniera internazionale e per la gestione di una mole di inevitabili imprevisti (che tali operazioni, in cui comunque a comandare è ancora la natura, pone), era ed è notevole e imponeva la massima attenzione ed integrità dai primi passi.

Monitoraggio
In tutto questo progetto, dalle sue premesse a quello che verrà dopo come azioni, il monitoraggio ha giocato, gioca e giocherà un ruolo fondamentale. Senza una buona conoscenza dello status, è difficile programmare azioni di conservazione, ancor più se a fronte di un rischio concreto di estinzione (seppur locale), che dovrebbero fondarsi su scelte gestionali robuste, che a loro volta dipendono da una buona conoscenza che deriva da un serio monitoraggio.

Anche in questo “la questione lince” può essere considerata una buona pratica. Ormai trent’anni fa, quando un gruppo di esperti stava sforzandosi di comprendere gli errori gestionali e quindi del monitoraggio compiuti nella penisola iberica (corresponsabili del drammatico declino della lince iberica (Lynx pardinus) che ha rischiato l’estinzione come specie), nascevano i primi sforzi per creare un sistema nuovo ed efficace di monitoraggio. Nella sua programmazione, nel suo svolgimento e infine nell’elaborazione e interpretazione delle informazioni raccolte. Nacque così la SCALP (Status and Conservation of Alpine Lynx Population), una associazione di esperti degli 8 paesi alpini, che elaborarono un metodo che è stato determinante per la salvaguardia della lince e che poi ha fatto scuola. Ormai viene applicato per una moltitudine di specie e in progetti di conservazione in tutti i continenti. Oggi il sistema può essere considerato robusto e in grado di valutare oggettivamente lo status di una popolazione. Purché il monitoraggio lo si faccia seriamente. Purché sia fatto un monitoraggio. Attività fondamentale per ogni operazione di gestione e conservazione della fauna, ma non solo.

Alti e bassi
Nonostante i buoni risultati a cui gli sforzi del lavoro con la lince hanno portato e nonostante quelle che a noi piace indicare come buone pratiche, la storia della conservazione della lince, anche quella attuale, non è fatta solo di successi e buone pratiche. Tutt’altro, non mancano le sconfitte e le ricadute. Uno di questi casi negativi è stato per esempio il bracconaggio di una delle linci liberate qualche mese prima. Appena aveva passato il confine verso l’Austria, era incappata in una persona malvagia, che l’ha sconsideratamente uccisa. Nonostante anche le autorità ed i cacciatori austriaci erano informati e avevano condiviso il senso dell’operazione italiana ed internazionale a salvaguardia della lince eurasiatica, la scelleratezza di uno di quegli individui di cui purtroppo tutti i rami della società, anche i più benpensanti, non sono indenni di avere tra le proprie file, ha rimesso in discussione molte attività. All’incomprensione per il gesto e la delusione del team di progetto, si sono poi aggiunte anche le critiche. Tra di esse quella sulla nostra responsabilità “di aver mandato al macello” un animale che prima di essere traslocato, viveva serenamente da un’altra parte. Certo, quale torto a questa affermazione. I ricercatori sono perfettamente consapevoli del fatto che progetti come questi sono molto invasivi per gli animali. Ma le scelte operate sono fatte pensando al benessere superordinato di una popolazione e di una specie. Per questo la scelta di procedere, pur a fronte di rischi e sforzi a cui singoli individui sono potenzialmente soggetti. Ma fermare queste attività per un abbattimento, perchè “così hanno vinto loro” (i malvagi, i detrattori della lince, dei grandi carnivori) proprio no! Sarebbe come arrendersi e cessare la lotta alla mafia perché dei malviventi hanno ucciso l’ennesimo rappresentante delle istituzioni. Il fatto che il responsabile del vile atto sia stato comunque individuato, e che prima ancora di essere condannato sia già un emarginato, anche nel mondo venatorio, fa comunque ben sperare. Il fatto che a fronte di alcuni animali morti ce ne sono una ventina già nati e discendenti degli animali reintrodotti e che stanno ricolonizzando nuovi territori, fa ben sperare. Il fatto che nella neve caduta copiosa in questi giorni in Foresta di Tarvisio si intravedano nuovamente le tracce del grande ed elusivo felino, fa ben sperare. Tra alti e bassi quindi l’impegno continua, per evitare che la lince non compaia tra le specie definitivamente estinte in Italia e nelle Alpi. 

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