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Pets? No Pets!

Giovanni Costa
Presidente di Pro Natura Catania e Ragusa

Una notizia apparsa su vari quotidiani italiani poco prima dello scorso Natale mi ha fornito l’occasione per trattare un argomento che mi sta a cuore da qualche tempo, e che ho avuto modo di discutere con il mio grande (e indimenticato) amico Danilo Mainardi. La notizia riguardava il rinvenimento di un pitone reale in una strada del vecchio centro storico di Catania, incastrato tra le grate di una caditoia per le acque piovane. Il Pyton regius è una specie di origine africana, appartenente a una famiglia di serpenti costrittori e non velenosi, considerata raramente pericolosa per l’uomo per le ridotte dimensioni, che non superano di solito i 150 cm di lunghezza. Si tratta di un animale tutelato dalla Convenzione di Washington del 1973, che ne prevede la possibilità di commercio e detenzione solo alla presenza di apposita certificazione e documentazione. L’esemplare trovato a Catania, lungo circa un metro e venti, probabilmente abbandonato da chi lo deteneva, era riuscito a entrare tra i cunicoli e i canali di scolo della fognatura per alimentarsi, incontrando poi qualche difficoltà a venirne fuori. Esso è stato liberato e consegnato ai rappresentanti del Raggruppamento Carabinieri CITES di Catania dalla nostra brava, sempre pronta e disponibile, Grazia Muscianisi, colonna, assieme al vulcanico ed intramontabile Luigi Lino, di Pro Natura Catania e Ragusa.

Per quanto esistano restrizioni ed impedimenti di natura legale, il commercio di specie animali esotiche (o anche di loro parti, vedi zanne di elefante, corna di rinoceronte, ossa di tigri di Sumatra, e così via) è uno straordinario business in crescita in tanti paesi del mondo, inferiore solo al traffico di droga e di armi. Si tratta di alcune centinaia di miliardi dollari l’anno (solo in Italia è stato recentemente calcolato un giro d’affari di circa 2 miliardi di euro l’anno). Sono acquistati e tenuti in cattività tanti pesci, anfibi, rettili (soprattutto tartarughe, iguane e serpenti), uccelli (soprattutto pappagalli), mammiferi (fra cui primati non umani, orsi e financo grandi felini), e, perché no, scorpioni e ragni velenosi! La cattura riguarda molto spesso esemplari di giovanissima età, strappati agli adulti che tentano di difenderli e non di rado vengono uccisi (e si tenga conto che in tanti casi si tratta di specie a rischio di estinzione). Gli animali, catturati frequentemente da abitanti locali poveri e ignoranti, vengono tenuti in gabbie non sempre di dimensioni ottimali, talvolta anche in condizioni di sovraffollamento, senza cibo o acqua per giorni in attesa di essere consegnati ai commercianti acquirenti. Questi, a loro volta, spediranno quelle povere bestie stivandole a bordo di navi o aerei. Il risultato è che difficilmente giungeranno vive a destinazione più del 50% di quelle catturate. E quelle sopravvissute dovranno poi affrontare condizioni di vita difficili sia per motivi climatici sia per un’alimentazione spesso non idonea. A parte tutto, non bisogna dimenticare che l’asportazione di animali selvatici costituisce una seria minaccia per la biodiversità, soprattutto per quelle specie che sono ormai al limite della sopravvivenza. Basti considerare il caso delle tigri di Sumatra, di cui non meno di 500 esemplari sono tenuti come “pets” negli Stati Uniti d’America, un numero che supera probabilmente quello degli individui ancora esistenti in natura!

Quello che occorre puntualizzare è che non è possibile trattare da animali domestici, che gli inglesi denominano “pets”, animali che domestici non sono! Si fa sovente una grande confusione tra animali domestici e animali addomesticati. È chiaro che animali domestici sono propriamente quelli che teniamo a casa, come i classici cani o gatti. È chiaro pure che questi animali sono stati addomesticati. Ma sono stati addomesticati anche cavalli, asini, maiali, ecc., che di solito non ospitiamo nella nostra casa! Orbene sono numerosi i casi di persone di tutto il mondo che mantengono nella loro abitazione animali quali pitoni, lemuri, orsi, tigri, leopardi, leoni e tanti altri ancora. Questi animali riescono ad assuefarsi alla presenza umana e a offrire persino prestazioni del tutto innaturali in cambio di cibo o per evitare terribili punizioni, come gli elefanti che devono sostenere il loro peso poggiando solo una zampa o le tigri che devono saltare nel cerchio di fuoco al circo. Essi rimangono pur sempre animali selvatici e non di rado si ribellano producendo rischi e danni, che poi si concludono con la loro “sacrosanta (!)” e inevitabile uccisione.
L’addomesticamento è un processo che ha riguardato un ristretto numero di specie animali e una buona quantità di specie vegetali. Esso è durato migliaia di anni, coinvolgendo un’innumerevole serie di generazioni, con una selezione artificiale che ha progressivamente prodotto notevoli differenze genetiche rispetto al genoma delle popolazioni selvatiche. Il processo è iniziato forse intorno a quindicimila anni fa (se non prima e comunque nel tardo Pleistocene), si ritiene con l’accoglimento e l’allevamento di cuccioli di lupo negli accampamenti umani: quindi più propriamente si dovrebbe parlare dell’addomesticamento del lupo, più che del cane, che è il risultato del processo e non il punto di partenza! I lupi presenti in quel periodo (probabilmente una specie estinta, diversa da quella attuale) si avvicinavano agli insediamenti temporanei degli uomini preistorici alla ricerca di avanzi da mangiare; e il ritrovamento occasionale di qualche cucciolo più intraprendente degli altri potrebbe avere determinato l’inizio di una convivenza risultata vantaggiosa sia per la caccia sia per la difesa. A partire da una fase iniziale dell’Olocene (intorno a dodicimila anni fa), in quello straordinario periodo denominato “Rivoluzione neolitica”, seguì tutta un’altra serie di processi di addomesticamento che hanno riguardato varie specie vegetali, e per quanto riguarda gli animali, in una probabile successione, capre, pecore, buoi, maiali, cavalli, asini, gatti, dromedari, galli, e così via.

Tornando ora all’argomento iniziale, ci si potrebbe domandare per quale motivo una persona decide di ospitare a casa sua un leone, uno scimpanzé, un pitone, e così via. Molti dichiarano di farlo perché amano gli animali. Ma questa motivazione appare assai poco credibile, ove si consideri che anche chi non ha adeguate conoscenze etologiche può onestamente pensare che i bisogni e i comportamenti naturali di un animale selvatico possano essere soddisfatti in una casa, per attrezzata ed accogliente che possa apparire. Tenere un animale, che vivrebbe libero in condizioni naturali, rinchiuso in un ambiente circoscritto necessariamente determina condizioni di sofferenza fisica e mentale. Nell’ambiente naturale ci sono ampi spazi; gli animali di specie territoriali possono scegliere le zone più opportune da acquisire e difendere dagli intrusi; possono realizzare le interazioni sociali tipiche delle specie di appartenenza; predatori e prede possono mettere in atto le loro rispettive strategie comportamentali; raggiunta la maturità sessuale possono essere attuate le fasi riproduttive che la loro specie prevede, dal corteggiamento alle cure parentali; e così via. Tutto ciò non può essere garantito ad un animale selvatico, qualunque sia la specie e chiunque sia il soggetto ospitante.
La conseguenza di ciò è frequentemente un articolato quadro di patologia comportamentale, che nei vari casi può andare da uno stato di noia alla frustrazione, dalle forme di automutilazione dei pappagalli a malattie spesso causate da un’inadeguata alimentazione o insufficienti condizioni igieniche per specie esotiche di qualsiasi gruppo tassonomico, fino alla morte. Non di rado alcuni animali esotici tenuti a casa possono “ribellarsi” e diventare pericolosi per gli stessi proprietari, per la loro famiglia, per gli occasionali visitatori, e persino per gli eventuali effettivi animali domestici: ogni tanto vengono, infatti, pubblicizzate notizie di bambini o di adulti sbranati da tigri, morsi da scimmie o asfissiati da serpenti costrittori. Altri rischi per chi sta in continuo contatto con animali esotici sono connessi con la possibilità di contrarre malattie zoonotiche di tipo virale, come l’Herpes B (trasmissibile all’uomo dai macachi) o il vaiolo delle scimmie (trasmissibile anche da roditori o Primati non umani) o di tipo batterico, come la salmonellosi (trasmissibile da vari Rettili, tartarughe incluse), eccetera.

Non sono pochi i casi di abbandono (illegale) di esemplari, anche acquistati a caro prezzo. E ciò per vari motivi, come, ad esempio, perché il loro mantenimento è risultato troppo costoso in termini di spese per il vitto o delle condizioni climatiche idonee, o anche solo per mancanza del tempo da dedicare a questi ospiti per garantirne uno stato di salute ottimale. Gli animali abbandonati spesso costituiscono una potenziale minaccia per l’incolumità delle persone che ne possono venire in contatto. Questo non è certo il caso del pitone reale, considerato un serpente non pericoloso anche per l’indole poco aggressiva nei riguardi di chi lo maneggia; però quest’animale può trasmettere virus, batteri, nematodi, ecc., all’uomo. E, sempre restando nell’ambito dei pitoni, c’è anche il caso di chi decide di tenere in casa esemplari di Malayopython reticulatus (pitone reticolato), una specie di origine asiatica che può superare la lunghezza di 6 metri e che è riconosciuto capace di ingoiare per intero una persona ! Numerose sono poi le cronache che riportano incidenti, spesso mortali, di animali esotici abbandonati o evasi dalle loro “gabbie dorate”. Per non parlare di un altro rischio per la biodiversità, che si somma a quello causato dal prelievo della fauna selvatica. E cioè quello, sia pure limitato almeno finora a un contenuto numero di casi, di animali esotici che vengono a trovarsi liberi e riescono a sopravvivere in un ambiente diverso da quello loro naturale, incontrando condizioni ambientali ottimali: essi competeranno con le specie native per le risorse locali e, se carnivori, potranno anche predarle, alterando gli equilibri naturali e divenendo nuclei di specie invasive. Questo è già successo, ad esempio, in vari casi in Florida, dove il clima e le caratteristiche topografiche del Parco Nazionale delle Everglades hanno consentito ad alcune specie di acclimatarsi e stabilizzarsi. Fra queste, sempre a proposito di pitoni, è noto il caso della specie birmana Pithon bivittatus, che può raggiungere 5 metri di lunghezza, alcuni esemplari della quale sono riusciti ad evadere da uno zoo a seguito di un uragano. Ebbene, sono stati recentemente censiti nelle Everglades oltre mille individui di questa specie invasiva, mentre sono scomparsi volpi e conigli e fortemente diminuiti procioni, opossum, coyote, e varie altre specie locali.

In conclusione, penso che chi ami veramente gli animali, se vuole incrementare la propria famiglia, e avere “un compagno di vita o di lavoro con cui comunicare”, per dirla alla Mainardi, un fedele amico che si lega morbosamente al suo padrone, potrebbe limitarsi a tenere in casa un cane. O, se si vuole come membro della famiglia un animale più autosufficiente, una “piccola tigre”, ma sempre ben pulita e abitudinaria, un giocherellone atletico ed elegante quanto intelligente, ci si potrebbe accontentare di tenere un gatto. Senza dunque scomodare gli animali selvatici che stanno bene nel loro ambiente. Dove starebbero ancora meglio senza le intrusioni e gli squilibri causati dalla specie umana.

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