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Agricoltura. I trattori cancellano il Green Deal

Valter Giuliano

 

«Orgogliosi di servirvi veleni nel piatto». Il centro destra ha rivendicato e fatto a gara per intestarsi la battaglia contro la riduzione dei pesticidi in agricoltura (gran parte dei quali riconosciuti o in odore di essere cancerogeni), costringendo la Commissione Europea a ritirare il provvedimento previsto all’interno del Green New Deal.

Inutile dire che si tratta di una posizione antiscientifica che non solo danneggerà i consumatori, ma gli stessi agricoltori, i primi ad essere esposti agli effetti delle sostanze chimiche sospette di cancerogenicità presenti in quelli che loro chiamano fitofarmaci.

Più in generale va sottolineata l’incapacità del mondo agricolo – pilotato da organizzazioni da tempo asservite all’agroindustria – di cogliere davvero l’opportunità di riconversione ecologica messa in atto con le politiche europee contro le quali sono scese in piazza. Fino a quando immaginano che la sfera pubblica – cioè noi che paghiamo le tasse, mentre moti di loro si vantano di evaderle – sarà disposta a pagare gli indennizzi per i danni che la crisi climatica (alluvioni e siccità) comporta?

Per non dire delle rivendicazioni economiche che giungono magari anche da chi, nei tempi della raccolta, manda i caporali a reclutare i migranti che poi tratta in maniera inumana – sfruttandoli con paghe da miseria e stipandoli in bidonville ai margini dei nuovi latifondi –  per poi chiederne i respingimenti non appena non servono più?

Dopo la protesta dei trattori, semanticamente e non solo storicamente tanto distante da quella dei contadini o degli agricoltori, ci aspettiamo, al tempo delle raccolta, non centinaia di potenti trattrici, ma migliaia di extracomunitari e altri disperati incrociare le braccia e marciare sul Circo Massimo per presentare ai trattoristi che oggi dicono di voler difendere l’agricoltura, le loro rivendicazioni per la dignità del lavoro contro ogni sfruttamento schiavizzante.

La campagna e il mondo contadino non sono più quelli della solidarietà e del mutuo soccorso. E scordatevi l’immagine romantica che avete in mente. Non è quella di chi protesta in sella a trattori da centinaia di migliaia di euro, quasi sempre comprati con i contributi dell’UE contro cui protestano e che destina loro il 40% del bilancio europeo. Se mai debbono protestare, seguano quel fiume di denaro per monitorare i ruscelli trasversali in cui si imbucano. O combattere il fatto che l’80% dei sussidi vada al 20% delle aziende in base a criteri dimensionali che favoriscono la concentrazione delle proprietà e l’adozione di metodi di conduzione industriali.

Ma sono questioni che lasciamo ad altri, anche se dovrebbero interessare ogni cittadino. Ci vogliamo concentrare sulla repentina marcia indietro della Commissione Europea sui pesticidi, invero già pesantemente determinata dalle lobbies del settore da far pensare che i trattori siano solo stati l’utile pretesto per metterla in atto.

Ed è sicuramente questa, la constatazione più preoccupante, perché non è la prima volta che si verifica, vedi la battaglia, persa, contro l’impiego del glifosato.

Il comparto chimico insinuatosi da decenni nei campi, ha fatto un passo avanti ed è oggi fortemente presente nella trasformazione agroindustriale, sempre meno affidata alle leggi di natura, sempre più “guidata” da interventi i cui effetti sull’alimentazione e sui crescenti fenomeni di allergia e di malattie autoimmuni poco si indaga.

Sembrano quasi essere trascorsi, inutilmente, più di sessant’anni da quando Rachel Carson diede alle stampe il suo Silent Spring.

Era il  1962 e l’anno successivo arrivò anche da noi grazie a Feltrinelli. Già malata di cancro, l’Autrice fece in tempo a dare alle stampe il suo libro-denuncia, una di quelle opere capaci di segnare una svolta nella storia. Primavera silenziosa, dedicato ai devastanti effetti della diffusione dei fitofarmaci (DDT in testa) in agricoltura e non solo, sostenuta dalle multinazionali delle chimica, denunciò, con forza, il pesante ingresso e la pericolosa ingerenza dell’industria chimica nel campo agricolo alimentare.

Il saggio ebbe un effetto dirompente, portando i temi ambientali all’attenzione dell’intera società mondiale, rappresentando una di quelle opere capaci di cambiare il corso della storia. Rappresenta una pietra miliare nei riferimenti di chi si riconosce nell’impegno ambientalista e ancor oggi, a distanza di sessant’anni dalla sua pubblicazione continua a essere un punto di riferimento.

Primavera silenziosa ebbe un grande effetto negli Stati Uniti, incitando un cambiamento nella politica nazionale sui fitofarmaci. Attaccato, ancora prima di uscire, da tutta l'industria chimica – supportata dal Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti – e da  aziende come Monsanto, Velsicol e American Cyanamid che ancora oggi procurano danni al Pianeta, prendeva spunto da una constatazione: «Le nostre azioni sconsiderate e distruttive entrano a far parte dei vasti cicli della Terra e con il tempo ci ritornano indietro, creando pericoli per noi stessi».

Per questo la Carson si occupò delle conseguenze a livello di connessioni ambientali globali: il biocida è progettato per l'eliminazione di un organismo, ma i suoi effetti si ripercuotono a livello di catena alimentare. Ciò che è immaginato per avvelenare un insetto finisce per avvelenare altri animali e, alla fine, gli uomini.

La chimica era, tuttavia, destinata a divenire sempre più un settore strategico nel bene e nel male. In quest’ultimo caso, ad esempio nella guerra in Vietnam, dove fece il suo esordio il famoso “agente arancio”, un defogliante a base di diossine. L’erbicida venne sparso, nel decennio 1961-71, su oltre tremila villaggi, contaminando 400 mila ettari di terreno agricolo e distruggendo un quinto delle foreste. A farci conoscere gli effetti devastati di quella guerra ecologica, Nguyene Dang-Tan.

La denuncia di Silent Spring non è superata. Il cappio dell’agrochimica continua a essere appeso al collo di qualsiasi possibilità di sviluppare un’agricoltura capace di tornare alle sue origini di nutrice naturale e non di lenta avvelenatrice delle comunità.

Diranno che si tratta di rispondere a necessità quantitative. Non è così. Anche perché un’intollerabile moltitudine di persone continua, ogni giorno, a morire di fame. Bisogna rispondere a esigenze di redistribuzione delle risorse e di giustizia globale; di sobrietà contro opulenza; di necessità contro sprechi; di nutrimento di base contro obesità; di coltivazioni impostate per le popolazioni locali e non per essere spostate in aereo con elevati costi energetici a migliaia di chilometri di distanza per soddisfare i bisogni indotti creati dalla pubblicità.

Bisogna respingere con indignazione questa politica di libero mercato che schiaccia dignità, libertà, giustizia e democrazia, trasformando ognuna di loro in finzione e in percezione virtuale.

Bisogna mandarla indietro. Altrimenti ci dobbiamo rassegnare a un potere politico che diventa anch’esso rappresentazione virtuale, finzione, completamente rassegnato e consegnato nelle mani del mercato e della mafia del potere economico-finanziario. Una mafia che uccide i deboli e il Sud del mondo.

L’Europa della Von der Leyen ha ceduto alle prime pressioni e ha immediatamente disarmato al cospetto dei trattori, sconfessando quella parte del piano per la Next Generation che guardava a un Green Deal di cui negli ultimi mesi si è fatto carta straccia con cedimenti progressivi in innumerevoli settori. Cosa consegneremo alle generazioni future? La nostra demagogica convenienza del momento?

Ma rimaniamo sull’argomento di cui trattiamo.

Dietro front sine die del previsto taglio entro il 2030 del 50% dei pesticidi, che secondo il mondo agricolo avrebbe comportato una perdita di prodotto dell’8% per grano e cereali, dell11% di semi da olio e del 10% di frutta e verdura. Il provvedimento del taglio era accompagnato da politiche di sostegno a innovativi metodi non chimici per il controllo dei parassiti e da interventi ecosostenibili per il controllo delle erbe infestanti. Per contro si è dato il via libera alla prosecuzioni nell’impiego del glifosato. Rotazione delle colture e riposo dei terreni intendevano invece favorire il mantenimento della biodiversità. Il 25% dei terreni da mettere a riposo si è ridotto al 4 con la possibilità di coltivarci leguminose varie. Mantenere spazi di terreno incolto non solo favorisce la biodiversità, ma mette a disposizione uno spazio vitale per gli impollinatori, sottoposti a forti pressioni e a grave rischio di sopravvivenza. È forte interesse del mondo agricolo preservare questa componente indispensabile, senza la quale rischia la crisi tutto il comparto orticolo e frutticolo che non sopravvivrebbe senza gi insetti impollinatori.

Ma non basta. Il 7 febbraio  il Parlamento europeo ha dato il via libera alle nuove tecniche genomiche NGT, prevedendo due categorie di cui la 1, con modifiche genetiche equivalenti a quelle delle piante convenzionali (meno di 20), viene esentata dalla maggior parte dei requisiti di sicurezza previsti dalla legislazione sugli OGM compresa la procedura di autorizzazione e l’etichettatura obbligatoria. Secondo gli oppositori la proposta violerebbe sia il Trattato di Lisbona, sia il Protocollo di Cartagena perché non rispettosa del principio di precauzione.

Come incide tutto questo sull’Italia?

Siamo il sesto Paese al mondo per utilizzo di pesticidi e distribuiamo sui terreni agricoli della penisola qualcosa come 114 mila tonnellate di pesticidi.

Ne troviamo residui negli alimenti: Boscalid, Fludioxomil. Metalxil, Imiadacloprid, Captan. Cyprodimil e Chrlorpyrifos sono i più presenti. Quest’ultimo è certificato non sicuro dall’Esa, l’autorità europea per la sicurezza alimentare.

C’è anche l’erbicida glifosato, che il produttore ha tolto dal mercato statunitense ma non da quello europeo che lo tollera.

Resta l’equivoco concetto della quota massima di residuo consentito di queste sostanze in ciò che mangiamo. Nessuno ci garantisce sulle nostre capacità di eliminazione e sulla possibilità di accumulo. Né sugli effetti dei possibili cocktail involontari che assumiamo.

Stabilire gli effetti sulla salute umana diventa dunque del tutto aleatorio. Di fatto indimostrabile il meccanismo causa-effetto. Dunque via libera a ogni uso e abuso. Nulla sarà dimostrabile.

Eppure l’Isde, la Società dei Medici per l’Ambiente, ha individuato danni alla tiroide, disturbi autoimmuni, diminuzione delle fertilità, deficit cognitivi e comportamentali, aumento di malattie degenerative come il Parkinson, sviluppo puberale precoce nell’ambito degli operatori agricoli.

È stata altresì evidenziata una correlazione tra esposizione ai pesticidi e insorgenza di tumori con incremento del 160% nel caso dei linfomi Non-Hodgkins da esposizione all’insetticida lindano; del 280% nel caso di esposizione al diserbante “acido-2,4- diclorofenossiacetico; del 25% per esposizione a cynazina.

Preoccupa l’insorgenza di tumori, in età infantile, ai figli di agricoltori americani esposti a pesticidi, con aumenti statisticamente significativi di leucemie, mielomi multipli e cancri alla prostata derivati da prodotti quali Fonofos e Methylbromide, utilizzati rispettivamente nella semina e contro insetti e funghi.

Che dire? Raccomandiamo agli amici agricoltori massima attenzione e ogni precauzione.

Il mondo agricolo dalla sua originaria missione di nutrire il mondo in maniera naturale, di fronte all’esplosione demografica, è inevitabilmente stato coinvolto nella grande corsa alla crescita infinita come unico parametro e dimensione inevitabile di sviluppo delle società umane.

Ma nel 1971 il Rapporto voluto dal Club di Roma di Aurelio Peccei e affidato al Massachusetts Institute of Technology mise in guardia sui limiti della crescita, indicando a tutti la direzione sbagliata che l’Umanità aveva imboccato.

Inascoltato. Le conseguenze di questa consapevole, indifferente ignoranza presentano ora il conto con la drastica riduzione degli insetti impollinatori, a cominciare dalle api senza le quali, avvertiva  Einstein, non ci sarà sopravvivenza nemmeno per la nostra specie. Ma i ragazzi di Extinction Rebellion che gridano al mondo queste cose vengono manganellati, denunciati, arrestati, trattati da pericolosi delinquenti per i quali si inaspriscono le pene.

Gli allarmi sottovalutati di oggi preparano il cappio che si serrerà al collo delle future generazioni.

Anche il mondo agricolo è dunque chiamato a un serio esame di coscienza e a una conseguente assunzione di responsabilità, tra dissipazione sconsiderata della risorsa idrica sempre più rara e persistenza di impiego di prodotti – glifosato in testa – il cui impatto fortemente negativo sull’ambiente e sulla salute pubblica diventa ogni giorno meno occultabile.

Ci sono scelte, un tempo giustificabili, come nei decenni del dopoguerra in cui lo spettro della fame si aggirava ovunque, che oggi non lo sono più e appaiono del tutto pretestuose di fronte a dati che dimostrano in maniera incontrovertibile che non è la quantità delle produzioni a determinare il perdurare di fame e carestie, ma le inique leggi di mercato e le criminali e ingiuste politiche di distribuzione delle risorse. Pensate forse non sia possibile trasferire, come si fa per i prodotti esotici del tutto superflui per le nostre alimentazioni, beni essenziali nei luoghi in cui necessitano nutrienti basilari? Se lo credete, o siete ingenui, o in palese malafede. «È il mercato, bellezza...» verrebbe da parafrasare. Per dire però, istantaneamente, un no secco, preciso e determinato a una società fondata su una simile regola. Che comporta uno scenario geopolitico internazionale non più sostenibile né tollerabile, di cui è urgente chiedere un cambiamento radicale.

Hanno un bel protestare gli agricoltori. Il settore primario non è più tale. Consuma più energia di quanta ne produce e vive di sussidi statali ed europei, non generando ricchezza ma assorbendola. Per questo le regole attuali vanno completamente ridefinite e la controparte non è l’Europa che tende a modernizzare economicamente e ambientalmente il settore, ma il mercato globale spregiudicato che specula tenendo bassi i prezzi alla produzione – spesso inferiori ai costi – per poi speculare all’immissione in una rete distributiva sempre più nelle mani di poche multinazionali.

Davanti a sé ha due scelte. Recuperare la dimensione dell’agricoltura contadina e la sua vocazione di nutrice garante dell’autonomia dei lavoratori, oppure rassegnarsi all’industrializzazione forsennata delle burocrazie e dei fondi di investimento, per cui le materie prime della vita indispensabili nella lotta contro la fame sono ricondotte semplicemente a commodities da giocare sul mercato globale.

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