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Socia della

Un nuovo inizio

Riccardo Graziano

La pandemia da Covid-19 estesa a livello mondiale è un avvenimento epocale. Molti asseriscono che dopo nulla sarà come prima. Ma dipende da noi se sarà meglio o peggio. Dalle decisioni che prenderemo non solo dopo l’emergenza, ma già a partire da oggi.
Come organizzazione ambientalista, ci adopereremo per indirizzare la ripresa verso un modello di sviluppo nuovo, più sostenibile, equo e salutare. Perché vediamo ogni giorno le criticità e i danni di uno sviluppo non più sostenibile, che causa problemi sempre più gravi e ha contribuito anche al sorgere e diffondersi di questo virus. Questa pandemia è un forte campanello d’allarme. Impariamo da questa emergenza.
A seguire, alcune linee guida per un modello di sviluppo che rispetti l’ambiente e, dal punto di vista economico, metta al centro le persone anziché il profitto. Per mitigare da un lato gli effetti del cambiamento climatico e dall’altro il fenomeno della polarizzazione sociale, che vede un incremento generalizzato della povertà a fronte dell’arricchimento smisurato di pochissimi. Per dimostrare che la tutela dell’ambiente può e deve marciare di pari passo con l’attenzione all’aspetto socio-economico e che le due cose non sono affatto in contrapposizione, come troppo spesso ci vogliono far credere.
Natura & Società declinate insieme, per provare a costruire un futuro migliore.
1. Salute – L’epidemia di Covid-19 ci ha fatto capire l’importanza della Sanità pubblica. Occorre riprendere a investire su strutture, personale, attrezzature, prevenzione e ricerca.
Nello specifico, occorre invertire la politica di tagli dissennati alla Sanità perseguita negli ultimi anni, assumendo personale e riconoscendo un trattamento economico maggiormente adeguato a persone che svolgono un compito molto più simile a una missione che a un semplice mestiere. Occorre inoltre bloccare il processo in corso di dismissione delle strutture sanitarie, anzi provvedere a riattivare almeno una parte di quelle chiuse, per aumentare il presidio del territorio, fattore cruciale non solo per il contenimento di fenomeni epidemici, ma in generale per fornire un migliore servizio agli utenti. Infine, ma non ultimo, occorre promuovere la cultura della prevenzione, fatta di stili di vita sani sotto il profilo alimentare e dell’attività fisica, nonché dall’adozione di pratiche che consentano di ridurre ogni forma di inquinamento, per consentirci di vivere in un ambiente più sano.

2. Lavoro - Dobbiamo fare tesoro dell’esperienza di lavoro da casa che molti sono stati costretti ad adottare e continuare a cogliere questa opportunità per diminuire la domanda di mobilità legata agli spostamenti lavorativi, ovviamente nel rispetto dei lavoratori e delle varie situazioni operative. In generale, occorre orientare il sistema verso i servizi alla persona, piuttosto che sulla produzione di merci, per passare in modo graduale e non traumatico dalla società consumistica a quella del benessere, attraverso una “decrescita” dell’utilizzo di materie prime ed energia, senza che ciò intacchi gli standard di qualità della vita a cui siamo abituati. Tenendo presente che per molti il livello di benessere si è già abbassato di parecchio proprio mentre si inneggiava alla “crescita” continua e si mettevano in atto strategie che avrebbero dovuto garantire lo “sviluppo”, a dimostrazione del fatto che le ricette ostinatamente imposte finora non funzionano.
È necessaria inoltre una decisa riduzione dei tempi di lavoro individuali – a parità di salario! – per poter garantire la tenuta dei livelli di occupazione, in vista di una automazione sempre più spinta nell’era ormai contemporanea dell’intelligenza artificiale, con macchine in grado di svolgere autonomamente una serie di lavori finora appannaggio degli esseri umani.
Piuttosto che insistere con la cementificazione del territorio e con la richiesta di nuove infrastrutture e “Grandi opere” di dubbia utilità, sarebbe meglio dedicarsi alla manutenzione ordinaria dell’esistente, prima di dover subire altre tragedie – spesso annunciate – come quella del ponte di Genova. Anche programmare la messa in sicurezza di un territorio in buona parte soggetto a rischio sismico e sempre più fragile dal punto di vista idrogeologico consentirebbe di evitare catastrofi e lutti che sempre più spesso funestano il nostro paese. E tutte queste attività consentirebbero di impiegare una quantità di manodopera elevata, contribuendo a creare occupazione per migliaia di lavoratori.

3. Istruzione – Abbiamo urgente necessità di riqualificare la quasi totalità dell’edilizia scolastica, formata da strutture obsolete – quando non fatiscenti – sia sotto il profilo della didattica, sia dal punto di vista strutturale, in particolare per quanto riguarda l’efficienza energetica. Occorre ricostruire o riqualificare gli edifici improntandoli ai principi della bioarchitettura e della sostenibilità, senza dimenticare l’estetica e la vivibilità degli spazi interni, per garantire ai nostri ragazzi un ambiente formativo sano e gradevole.
Le tematiche ambientali e sociali – ecologia, analisi dei cambiamenti climatici, educazione civica e studio dei diritti fondamentali dell’Uomo – devono entrare a far parte integrante del ciclo didattico, che a sua volta dovrebbe essere prolungato obbligatoriamente fino ai diciotto anni e ricalibrato nei programmi sulla maggiore durata degli studi.
Sarebbe anche utile puntare su una istruzione a tempo pieno, in grado di garantire maggiori possibilità di apprendimento per gli studenti, più posti di lavoro per i docenti e, non ultimo, una diminuzione di incombenze per i genitori, spesso in difficoltà nel conciliare le attività familiari con quelle lavorative. Per fare questo, le scuole dovrebbero naturalmente attrezzarsi per offrire un servizio mensa di qualità, che utilizzi in prevalenza prodotti stagionali, bio e a chilomretrizero, contribuendo a infondere nei ragazzi una cultura della corretta alimentazione con un cibo buono, sano, nutriente e sostenibile dal punto di vista ambientale.

4. Cibo – La produzione di cibo deve abbandonare le logiche industriali attualmente in uso, tornando a pratiche rispettose di terreni, acque e cicli naturali. In questo senso, va rivista la PAC, la Politica Agricola Comune dell’Unione Europea, i cui sussidi sono ancora in larga parte indirizzati verso le grandi aziende, a discapito dei piccoli produttori. Ma occorre anche un cambio di sensibilità da parte dei consumatori sotto vari aspetti, innanzitutto per diminuire il consumo di carne, la cui produzione su vasta scala diventa sempre più insostenibile a livello globale, come nel caso della deforestazione dell’Amazzonia, che viene progressivamente rasa al suolo per ricavarne allevamenti o coltivazioni di foraggio, in gran parte per prodotti destinati all’esportazione verso i nostri mercati.
È imperativo ridurre gli sprechi – a ogni livello, dalla produzione al supermercato fino alla nostra dispensa – e privilegiare le filiere corte, le produzioni locali e la qualità del cibo, piuttosto che la quantità a basso prezzo.

5. Energia – Il chilowattora più sostenibile è quello risparmiato. Quindi mettere in atto strategie di riduzione dei consumi, a partire dalla riqualificazione energetica degli edifici, pratica che può garantire migliaia di posti di lavoro nel settore dell’edilizia, senza intaccare un metro di suolo con nuove costruzioni.
Incentivare una decisa svolta verso le fonti rinnovabili e sostenibili, dismettendo progressivamente quelle fossili, a partire dal carbone, in assoluto il combustibile più inquinante. Azzerare velocemente i troppi sussidi ancora concessi all’economia fossile, anzi disincentivarne l’uso con una tassazione mirata sulle emissioni nocive. Assolutamente insufficiente, da questo punto di vista, la SEN – Strategia Energetica Nazionale, portata avanti dall’esecutivo, che non punta decisamente verso la transizione energetica e che, secondo la denuncia di alcune associazioni ambientaliste, per alcuni aspetti sembra “dettata da ENI”, l’ente petrolifero nazionale che ancora non si decide a cambiare radicalmente le proprie strategie industriali, nonostante ci tempesti di campagne pubblicitarie apparentemente “green”.
Importante anche puntare sulla generazione energetica diffusa, attuando politiche volte a favorire chi può prodursi autonomamente la corrente elettrica e favorendo la diffusione delle comunità energetiche – al momento poche esperienze pilota – dove l’energia viene prodotta e scambiata localmente, senza disconnettersi dalla rete nazionale, ma con livelli maggiori di efficienza e risparmio.

6. Mobilità – Il chilometro più sostenibile è quello che non viene percorso. Quindi agire in primo luogo per diminuire le esigenze di mobilità delle persone (teleconferenze, lavoro da casa, ecc.) e delle merci (comprare prodotti locali, cosiddetti a Km 0).
Implementare l’offerta di trasporto pubblico, in particolare quello su rotaia (tram, metro, ferrovie locali), in assoluto il più efficiente in termini di capienza e costi di esercizio in rapporto al numero di persone trasportate. In quest’ottica, meglio potenziare i treni locali a beneficio dei pendolari, piuttosto che continuare a sperperare ingenti risorse sull’Alta Velocità, destinata a una ristretta nicchia di viaggiatori.
A livello urbano, favorire la mobilità attiva con percorsi protetti e parcheggi dedicati a bici e monopattini, favorendo anche la fruizione intermodale. Per intenderci, è necessario che all’interno delle stazioni ferroviarie siano previsti spazi coperti e sicuri per il ricovero di questi mezzi, in modo che i passeggeri possano utilizzarli in alternativa all’auto. Discorso analogo può essere fatto per le stazioni di autobus o per i capolinea di mezzi suburbani o linee principali del trasporto pubblico.
Accompagnare la transizione ormai avviata alla mobilità elettrica, più efficiente e meno impattante, puntando sull’elettrificazione delle flotte del trasporto pubblico e proseguendo nelle politiche di incentivi per la sostituzione dei veicoli privati più inquinanti, mettendo parallelamente in campo una politica industriale che garantisca la tenuta dei livelli occupazionali grazie a nuove filiere produttive, in grado di riassorbire la manodopera del comparto automobilistico tradizionale, già oggi in fase di contrazione. Esemplare in questo senso lo sviluppo congiunto da parte di Cobat (Consorzio nazionale per il recupero delle batterie) e CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) di un nuovo processo per il riciclo e il recupero dei materiali delle batterie delle auto elettriche dismesse, problematica che tanto preoccupa una parte del mondo ecologista quanto i costruttori di veicoli termici tradizionali.

7. Consumi – Indirizzare la società verso un sistema meno consumistico, riducendo il superfluo, gli sprechi, il monouso. Contrastare lo sviluppo ipertrofico della logistica mondiale, imposto dalle strategie della globalizzazione, basata su scambi commerciali planetari di enormi quantitativi di merci prodotte a grande distanza dai luoghi di consumo. In alternativa, ricostruire aziende e filiere locali che avvicinino domanda e offerta, ricostruendo in modo sostenibile quel tessuto produttivo smantellato dalla deindustrializzazione degli ultimi decenni, invertendo in tal modo le dinamiche che hanno portato alla crescita della disoccupazione. Educare i consumatori a scegliere i prodotti locali e a privilegiare la qualità del prodotto piuttosto che il basso presso di vendita, troppo spesso ottenuto con costi elevati sia dal punto di vista ambientale (inquinamento), sia sotto il profilo sociale, con lo sfruttamento dei lavoratori e il mancato riconoscimento dei loro diritti.

8. Rifiuti – Puntare sulla strategia delle “R”, partendo dalla Riduzione alla fonte, perché si sa che il rifiuto più gestibile è quello che non viene prodotto. Privilegiare la Riparazione e il Riuso degli oggetti piuttosto che la loro sostituzione con nuovi prodotti. Attuare la Raccolta differenziata, che dev’essere abbinata a una corretta filiera del Riciclo, in grado di recuperare i materiali donando loro nuova vita. La pratica dell’incenerimento per la produzione energetica deve diventare residuale, il conferimento in discarica deve essere azzerato. Occorre riconvertire tutti i cicli produttivi secondo i principi dell’Economia circolare, dove ogni prodotto è già progettato in modo da garantire  che, una volta giunto a fine vita, possa essere disassemblato per recuperare i materiali e trasformarli in materie prime seconde, senza andare a intaccare nuove risorse naturali.

9. Ambiente – Necessità assoluta di salvaguardare i sempre più numerosi habitat in declino, per garantire una riserva di biodiversità in grado di allontanare lo spettro di una Sesta estinzione di massa, che peraltro in parte stiamo già vivendo in questa era geologica chiamata Antropocene, dove i cambiamenti che interessano la Terra sono sostanzialmente provocati dall’Uomo. Anche perché, se non agiamo in fretta e con decisione, fra le tante specie destinate all’estinzione ci sarà anche la nostra.

Occorre ridurre drasticamente l’utilizzo di combustibili fossili per rallentare il riscaldamento globale e approntare strategie di resilienza ai cambiamenti climatici ormai in atto. È necessario ridurre tutte le fonti di inquinamento, a partire dalla plastica, materiale virtualmente indistruttibile che sta letteralmente invadendo ogni angolo del pianeta, inclusi gli organismi viventi.

10. Solidarietà – La pandemia dovrebbe averci insegnato che “Nessuno si salva da solo”. Occorre aiutare i più deboli, gli ultimi, chi non ce la fa. Occorre una società più equilibrata basata su giustizia sociale, solidarietà, sussidiarietà. Servono maggiori investimenti nello stato sociale, da finanziare con tagli a spese militari e grandi opere. Una società più coesa ed equilibrata è fondamentale per combattere paure, odio, intolleranza e tutti i sentimenti negativi che stanno avvelenando le nostre esistenze. Cerchiamo di costruire una società e persino una civiltà più equa e sostenibile, per far sì che l’auspicabile uscita dall’emergenza sanitaria non ci faccia “tornare come stavamo prima”, ma possibilmente un po’ meglio.

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